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Salvini

Che cosa cambia per il governo Draghi con la scissione di Di Maio

La mossa di Di Maio, l’affollamento al centro, la posizione di Letta e le parole di Salvini. La nota di Paola Sacchi

 

La scissione atlantica pentastellata fatta nel Palazzo, auspicata dai fautori, anche sui giornali mainstream, di un Draghi bis o simil-Draghi anche dopo le Politiche del 2023, con la convergenza verso il tanto agognato e ipotetico centro, scissione vista, persino da qualcuno in un Pd un po’ frastornato, come “manovra di Palazzo”, davvero indebolirà il governo Draghi?

Nell’immediato, a giudicare anche dalla scenografia di queste giornate in parlamento, con un Luigi Di Maio sempre in perfetta assonanza anche nella gestualità con il premier, la guida di Draghi ne dovrebbe invece uscire più forte. Se non altro perché il premier avrà più tavoli stellati ed ex stellati su cui giocare e tenere in sella l’esecutivo. Giuseppe Conte, uscito spiazzato dalla scissione, ha già annunciato che lui l’esecutivo non lo lascia.

Sarà un po’ più faticosa l’impresa per il Pd di Enrico Letta che ora oltre a Conte dovrà vedersela anche con Di Maio, meno controllabile e prevedibile nelle mosse, che nel centrosinistra potrebbero oscurare al segretario Pd il primato sull’atlantismo. Ma Letta ieri sera a Porta a Porta in modo autoironico, per esorcizzare, ha detto di sentirsi “sereno”, di badare più al campo che alle alleanze.

Affollamento, intanto, al centro. Con Carlo Calenda che sin da subito ha fissato paletti rispetto al nuovo arrivato Di Maio. Matteo Renzi rimarca il fatto che il grillismo è finito, attribuendosene il merito.

Il punto è che se con la scissione di Di Maio è scattata davvero l’operazione “centro”, caldeggiata a tavolino dal mainstream, a scissione dovrebbe seguire scissione fino ad arrivare alla tanto vagheggiata maggioranza Ursula. Una catena di scissioni, che, come ha scritto il direttore del Giornale Augusto Minzolini, alla fine potrebbero al contrario indebolire il governo Draghi. Scissioni magari accompagnate dal proporzionale, come piacerebbe molto al Pd per restare perno del sistema.

Ma scissioni nella Lega, partito antico e strutturato, ora primo partito in parlamento, sono altamente improbabili e Silvio Berlusconi non sembra propenso al ritorno al proporzionale, come non lo è Matteo Salvini. Per il centrodestra, che, secondo Letta rischia di essere avvantaggiato dal terremoto stellato nel Palazzo, un modo evidentemente per chiamare a raccolta i suoi in vista dei ballottaggi di domenica, però un rischio c’è: quello, tanto più ora che è diviso tra governo e opposizione, di esser svantaggiato da giochi di Palazzo in cui la sinistra e il centrosinistra sono stati sempre maestri e pronti alla fine a ritrovare ogni volta la quadra tra loro.

Non è un caso che Salvini abbia subito stigmatizzato l’anomalia che Di Maio resti ministro degli Esteri, senza più essere espressione del partito per conto del quale era andato alla Farnesina.

Ma il leader della Lega aggiunge che non chiederà alcun rimpasto di governo, che andrà avanti fino al 2023, “non mi occupo di 5s ma di benzina, rottamazione cartelle esattoriali”.

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