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Che cosa cambia per il governo dopo l’incontro di Conte con Salvini, Meloni e Berlusconi

Portata ed effetti dell'incontro del premier Conte con i leader del centrodestra Salvini, Meloni e Berlusconi. Il corsivo di Paola Sacchi

Il Paese, alle prese con la tragedia del Coronavirus, ne uscirà speriamo più rafforzato anche per il contributo critico, vigilante, come è suo compito, ma responsabile dell’opposizione di centrodestra. Il governo, invece, ne esce sempre più indebolito. Esautoratosi o autocommissariatosi praticamente da solo. Se tutto questo porterà a quel “War Cabinet da unità nazionale” – formula lanciata da Daniele Capezzone, di fatto evocata dallo stesso Matteo Salvini quando a “Non è l’Arena” a Massimo Giletti ha risposto: fare come gli inglesi per la guerra, poi tornare a dividersi – lo vedremo.

Ma di fatto il duo Conte-Casalino – dopo l’incontro di ieri sera a Palazzo Chigi con l’opposizione compatta, Salvini, Giorgia Meloni, Antonio Tajani – non sembra più così solo al comando. Salvini: “Almeno ci hanno ascoltati, non è poco, anche se ci hanno detto che per marzo i soldi non ci sono”. Tajani: “Sono stati istituiti due tavoli di lavoro”. Meloni: “C’è stato un grave problema della comunicazione”. E tutti e tre: “Riaprire il parlamento”. Insomma, basta andare avanti a colpi di dpcm, i decreti del presidente del Consiglio.

Comunque andrà, è un fatto però, balzato prepotentemente sotto i riflettori, che il governo dopo giorni di telefoni “irraggiungibili”, abbia ricevuto l’opposizione dopo una telefonata a Sergio Mattarella “cordiale e gentile” del leader con più consensi del centrodestra Salvini. Il governo Conte non ci fa oggettivamente un figurone. Soprattutto dopo l’ultimo pasticciaccio brutto della comunicazione notturna via Facebook sulle ultime restrittive misure, peraltro senza sufficiente chiarezza. E con una fuga di notizie, l’ennesima, dello scorso fine settimana che ha generato un venerdì nero di file ai supermercati, e tutto ciò preceduto dall’ altro disastro comunicativo di un paio di settimane fa, con l’assalto dei treni da Nord verso Sud. E ancora, dopo l’oggettivo “schiaffo” in faccia dato al governo dal presidente lombardo Attilio Fontana con la scelta come consulente di quel Guido Bertolaso, vera risorsa nazionale, con una competenza acclamata dai fatti, che il governo Conte due invece ha ignorato. E ha preferito fare altre nomine come quella di Domenico Arcuri.

Aver ieri sera ricevuto l’opposizione, che però è governo nella maggior parte delle Regioni, e che all’unisono aveva, visti i silenzi di Palazzo Chigi, già chiesto un incontro al Capo dello Stato, è cosa positiva per il Paese. Bastava leggere domenica, poco prima della nota unitaria, Silvio Berlusconi che si rivolgeva direttamente a Sergio Mattarella per capire che qualsiasi dialogo fosse saltato. Dunque, è un bene per il Paese che sia ripreso.

Ma per le modalità con le quali tutto ciò è avvenuto suona come un oggettivo smacco per il Conte due. Nessuno vuole forzare l’evidente, paziente opera di tessitura del Presidente Mattarella, ma sembra sia la stessa sequenza dei fatti dal governo stesso prodotti ad aver ormai oggettivamente “commissariato” il Conte due.

Un esecutivo già gracile ed esangue, nato sulla formula del tutti contro uno, con forti dissidi interni tra l’altro, il cui problema di fondo è strutturale: non ha autorevolezza poiché non è guidato da un leader politico, nell’ora più buia. Ma Churchill è bene lasciarlo stare.

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