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Che cosa agita davvero il governo Conte

Tutti i dossier che fanno discutere e dividono la maggioranza di governo. I Graffi di Damato

Quelle foto di Giuseppe Conte in festa a Osaka, accolto con tutti gli onori e l’allegria riservati dai giapponesi agli ospiti altolocati del vertice mondiale noto come G20, non sono molto in sintonia, diciamo così, con le notizie del governo e dei ministri lasciati a Roma dallo stesso Conte. Che si è prudentemente portato appresso, fidandosene o diffidandone di meno, solo il ministro dell’Economia Giovanni Tria per meglio trattare, capire, definire e quant’altro con gli interlocutori europei trasferitisi anch’essi in Giappone, sia pure per motivi e argomenti superiori, i modi di sottrarsi alla procedura d’infrazione comunitaria per debito eccessivo improvvisata contro l’Italia dalla Commissione uscente di Bruxelles.

A distanza non so esattamente di quante decine di migliaia di chilometri, o miglia, dalla missione del suo presidente in Giappone, il governo gialloverde a Roma ha rimediato una fiducia al Senato, per l’approvazione di un provvedimento addirittura sulla crescita, formalmente ineccepibile -158 voti contro 104 e 15 astensioni- ma politicamente zoppicante. Sulla carta il governo dovrebbe poter disporre a Palazzo Madama di 161 voti per sopravvivere in un’aula al completo, senza le assenze generosamente considerate casuali ma in realtà sempre, o quasi sempre, ottenute apposta dalle opposizioni per mettere in sicurezza la traballante maggioranza di turno. E si sa che i gialloverdi zoppicano, appunto, in Senato per i dissidenti grillini già espulsi, o andati via spontaneamente, o in procinto di farlo.

Contemporaneamente, o quasi, a distanza di qualche chilometro dal Senato, il vice presidente grillino del Consiglio Luigi Di Maio, titolare di due dicasteri importanti come quelli dello Sviluppo Economico e del Lavoro, ha auspicato, previsto, annunciato, come preferite, la “cottura” del gruppo Benetton impegnato nelle autostrade, revocandone le concessioni per l’affare del ponte crollato l’anno scorso a Genova e in corso, proprio in queste ore, di demolizione totale per farne costruire uno nuovo. Naturalmente Atlantia -così si chiama la società decottanda, diciamo così, ma ancora utile a salvataggi tipo quello di Alitalia- ha protestato e minacciato azioni legali per i danni che subiscono i suoi titoli in Borsa, e i risparmiatori che li posseggono, ad ogni annuncio governativo che ne compromette le sorti.

Non parliamo, per carità di spazio e di Patria, con la maiuscola, di tutte le vertenze, vecchie e nuove, di aziende in crisi gestite dai due dicasteri di Di Maio ed esplose in questa torrida estate in annunci o minacce di chiusure, licenziamenti e cause.

Sul versante anch’esso controverso delle autonomie cosiddette differenziate la ministra leghista che se ne occupa da un anno è sbottata letteralmente contro Conte, al quale ha ricordato, per quanto impegnato in tutt’altre faccende in Giappone, che si era personalmente impegnato a risolvere la pratica, chiamiamola così, entro il 15 febbraio scorso.

Ma qualcosina va detta pure, naturalmente, sul Viminale e sulle acque di Lampedusa che hanno metaforicamente invaso l’ufficio del ministro-capitano Matteo Salvini, sfidato nave bloccata dalla “capitana” tedesca di un nave battente bandiera olandese. Che si fa scudo di 42 migranti a bordo per sottrarsi agli ordini e ai divieti nelle acque territoriali italiane, tra gli applausi e le incitazioni di tante anime belle alle quali ha deciso di offrire soccorso e titoli-bandiera anche il giornalone Repubblica. Che con quella testata sente ogni tanto l’orgoglio e l’occasione di fare concorrenza, per capacità di influenza, al Quirinale.

Formalmente la partita è fra il “capitano” e la “capitana”. In realtà, per essere -al solito- franchi ed espliciti, la partita è fra il capitano Salvini e la magistratura, di cui si teme un intervento delegittimante nel caso in cui il prefetto competente, eseguendo il nuovo decreto legge sulla sicurezza appena entrato in vigore, sequestri davvero la nave alla capitana, confiscandola, oltre che multandola, e non la fermi per qualche giorno per lasciarla poi ripartire, com’è accaduto con le toghe prima delle nuove norme.

Il rischio di un intervento della magistratura contro quello del prefetto nasce dalla circostanza della “reiterazione” del reato richiesta dal decreto fresco di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica. Reiterazione nell’arco dell’attività abituale e già nota della nave in questione o dalla data di applicazione della nuova norma? E reiterazione rispetto a un fatto o a più ordini non eseguiti nell’arco di una stessa giornata o vicenda?

Non parlo dei magistrati in servizio, e peraltro distratti anche da vicende interne alla loro categoria non proprio commendevoli, come ha lamentato lo stesso presidente della Repubblica e del Consiglio Superiore della Magistratura, ma anche fra i giuristi Salvini, “il capitano”, stenta a trovare sostegni veri, col clima che c’è contro di lui, del quale il meno che si sogna è la fine di Mussolini a Piazzale Loreto.

Un giurista, in verità, è uscito allo scoperto a favore del ministro dell’Interno: il solito Carlo Nordio, magistrato naturalmente in pensione, anche se ha avuto coraggio ad esporsi controcorrente sin da quando era in servizio, pagandone gli effetti naturalmente in termini di carriera.

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