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Salvini

Come può vincere bene il centrodestra

La nota di Paola Sacchi.

 

Giorgia Meloni descritta da un lato come “draghizzata” e quindi giudicata affidabile; Matteo Salvini additato come “l’impresentabile”, in una sorta di storia leghista degli ultimi anni presentata come una specie di romanzo criminale. Ma il canovaccio ormai un po’ ripetitivo dei media mainstream è sempre pronto a scagliarsi anche contro tutti e due gli alleati di Silvio Berlusconi, descritto come superato dal nuovismo terzopolista.

Meloni, in uno dei suoi affollati comizi, ha detto di non leggere ormai più i giornali. Insomma, metodo Thatcher. Ma la campagna elettorale a tre punte concordata dal centrodestra, con una competizione interna stabilita dalle stesse regole dell’accordo tra i leader, è ancora relativamente “lunga”, forse troppo rispetto a quel solo giorno previsto per votare. Solo di domenica e non anche il lunedì mattina, come prevalentemente è accaduto. E questo a fronte del rischio astensione.

In certa narrazione mediatica si procede secondo lo schema in base al quale praticamente ci sarebbe una sola vincitrice del centrodestra. Con alleati ridotti maluccio. Praticamente un quadro che a Meloni, se sarà lei il premier, farebbe solo un danno. Perché i monocolori o semi-monocolori li tenne già a bada a fatica anche quel colosso trasversale che era la Dc. E, comunque, in un quadro così combinato, al di là dei netti e sinceri buoni propositi, sarebbe difficile assicurare quel governo “coeso e solido” che Meloni ha prospettato per “responsabilità” nei confronti del Paese. Affermando con nettezza: “Mi interessa battere gli avversari, non gli alleati”.

Ogni partito del centrodestra ha un’identità precisa, consolidata ormai in anni di governo comune. A livello nazionale, nelle Regioni e nei Comuni, in un amalgama certamente più riuscito che in un centrosinistra sfrangiato, con al centro un Pd stretto tra la sfida del leader pentastellato Giuseppe Conte dal fianco sinistro e di Carlo Calenda con Matteo Renzi dal fianco destro.

Ma, in ogni caso, anche per il centrodestra se la sfida, pur stabilita dalle stesse regole, rischia di apparire, nonostante la volontà dei leader, più interna che esterna si potrebbero alla fine aprire problemi.

Ancora si ricordano le liti e le frizioni dei governi dell’Ulivo e dell’Unione di prodiana memoria, dove allora i Ds ex Pds, pur essendo il perno, ovvero il partito di maggioranza dentro la coalizione, si dibattevano con la Margherita (poi fusasi con loro nel Pd) e gli alleati minori per stabilire un primato interno. E sicuramente il centrodestra non ha alcuna voglia di imitarli, ovviamente non nei contenuti diametralmente opposti, ma nello schema di gioco. Anche perché l’elettorato di centrodestra è molto più contiguo di quello del campo o dei campi avversari.

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