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Caro diario, ti confesso che la quarantena mi ha purificata

"Durante la quarantena mi sono liberata di cose di inutili, di gente stupida, di abitudini vuote, di emozioni nervose e di sentimenti medi". Il “Diario della quarantena” di Carla Falconi

Cinquantaseiesimo giorno.

Caro diario, oggi resterò a casa, per godermi il penultimo ultimo giorno di quarantena. Non uscirò neppure per andare al forno a prendere il pane o portare il cane fuori per la passeggiatina serale.

Il mio miope egoismo mi spinge a trovare rifugio nella pace domestica, in una quiete solo apparente perché in realtà nasconde il ritmo preciso e laborioso della vita nei monasteri.

In questi giorni, infatti, mi è sembrato di vivere come un monaco benedettino. Ora et labora, prega e lavora. E io ho lavorato e riflettuto molto.

Sono entrata nell’ordine del Virus, nella sua logica rudimentale tanto che certe volte riesco persino a dimenticare che c’è, esattamente come fanno i monaci con il loro Dio. E’ dentro di loro sempre, guida i loro pensieri, gli tiene compagnia nella loro pace.

Mi sono liberata di cose di inutili, di gente stupida, di abitudini vuote, di emozioni nervose e di sentimenti medi.

Ho dimenticato molto, ho smesso di pensare a tante persone, posso stare senza smalto, indosso sempre gli stessi vestiti.

Mi sono liberata persino della voglia di fare acquisti, anche se questa conquista potrebbe rivelarsi effimera. Lo spirito è forte ma la carne è debole e tra due settimane, alla riapertura dei negozi, potrei ricascarci.

Devo ammettere, cario diario, che la quarantena mi ha purificata. E’ avvenuto nella ripetizione di quei giorni di marzo in cui era ancora inverno, come accade in un rito, quotidiano, semplice ma efficiente ed è stato davvero come vivere in un monastero, per questo credo che dopo, quando il dopo inizierà davvero, ne avrò nostalgia.

Come molti intorno a me, temo l’arrivo dei giorni nuovi che mi aspettano, tornando al lavoro, in un’altra città, in un mondo modificato, entrato nell’ordine del Virus e abitato, forse, da una nuova specie umana, l’homo covidicus. Sono andata persino su Wikipedia a cercale questa definizione e non ho trovato niente.

Ho scritto homo covidicus, ed è apparso homo civicus. Questo mi ha un po’ sollevata, vuol dire che l’ho pensato solo io e che forse non sarà così. Del resto intorno a me, almeno in questo quartiere protetto dalla noia e da una quiete che finora niente ha mai scalfito, sono chiari i segnali della normalità della primavera.

Dalla strada sale un brusio flebile fatto di voci e vibrazioni, e il traffico, anche se limitato, è il doppio rispetto a quello dei giorni scorsi.

Nell’aria non c’è la gioia che precede i giorni festa ma un’ordinata ripresa dei lavori nei giardini, delle passeggiate per strada e del via vai di persone che scendono per salire nell’auto parcheggiata e andare in luoghi molto vicini che comunque sono una destinazione.

Dalla mia finestra non posso vedere molto altro. Il Virus non è andato via, forse ha solo deciso di concedere una tregua, ma il potere della primavera lo contrasta con la sua incoscienza e la bellezza di questi pomeriggi, che si concludono sempre in tramonti opachi che sfumano in un’aria placida e chiara, ci mettono di nuovo in attesa.

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