skip to Main Content

Caro diario, la pietà stanca?

Quando, in un momento imprecisato della fase due ci daranno il permesso di piangere, non ci andrà più di farlo perché saremo troppo occupati a ricominciare. Il “Diario della quarantena” di Carla Falconi

Giorno numero 54.

Mi rendo conto solo oggi, e quindi troppo tardi, che nessuno ha proposto un solo minuto di raccoglimento, nelle case o nei luoghi di lavoro, per ricordare tutti insieme le vittime. Così come in molti avevano cantato tutti insieme e sperato tutti insieme nei flash mob dai balconi. In Inghilterra lo hanno fatto due giorni fa alle 11, ora di Greenwich.

Adesso però in Italia è già primavera e in tv si parla della fase due, anche se nessuno usa più la parola vittoria. Quindi non è questo il momento per quel minuto di silenzio.

Forse c’è una strategia dietro questa dimenticanza, la necessità di mantenere alto l’umore del popolo, almeno di quella parte non provata e impoverita, e lasciare le persone a casa, in santa pace a preparare le ultime torte prima della ripresa. Sia pure lenta e prudente.

La rimozione del pensiero della morte era già cominciata molto prima e non è colpa del Virus.

Per essere efficienti non bisogna soffrire e per non soffrire bisogna dimenticare tutto il più in fretta possibile.

E così nonostante la marcia costante e crudele del Virus, al ritmo di una quotidiana danza macabra, noi siamo già riusciti a dimenticare i morti, a lasciarli andare via nel flusso di questa dimenticanza collettiva, senza rimorso e senza malinconia.

E’ come se avessimo paura di ricordare quelli che non ce l’hanno fatta, come se non volessimo condividere i lutti che hanno colpito le nostre comunità.

La tv del dolore, che era molto in voga fino a poco tempo fa, è stata sostituita da una tv dei dati, delle statistiche e dei passatempi più piacevoli da adottare durante la quarantena.

E’ vero che anche la pietà stanca, quando non sembra servire più a nulla, ma questo andare sempre oltre, sempre avanti, conferma che l’indifferenza è diventata ormai la nostra tecnica di sopravvivenza. La più facile, la più utilizzata.

Finora siamo sempre riusciti molto bene ad ignorare le tragedie degli altri, di tutti quelli che morivano un po’ più lontano da noi e ci siamo riusciti bene anche questa volta, anche se questa volta quei lutti ci riguardavano più da vicino.

E quando, in un momento imprecisato della fase due ci daranno il permesso di piangere, non ci andrà più di farlo perché saremo troppo occupati a ricominciare.

Tra regole, divieti, distanze, turni, riaperture, vecchie e nuove povertà, disoccupazione, disuguaglianze, polemiche, in un Paese impazzito in cui oltre a dimenticare i morti, cominceremo a dimenticarci anche del Virus che ha provocato tutto questo perché ormai siamo entrati nel suo ordine, nella sua logica.

Allora qualcuno, finalmente, dirà che il nemico da vincere non è il Virus, che in fondo è solo una malattia contagiosa simile a quelle che hanno scosso il mondo molte altre volte, ma le contraddizioni che il Virus ha scavato dentro la nostra società. E quelle contraddizioni anche se dipendono solo da noi, sono più difficili da vincere.

Back To Top