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Espansione Nato

L’allargamento della Nato ha causato l’invasione russa dell’Ucraina?

La narrativa del “tradimento” della promessa del non-allargamento della Nato, utilizzata da Putin per giustificare l'invasione dell'Ucraina, presenta evidenti fragilità. Ecco quali. L'analisi di Gabriele Natalizia per Domani Quotidiano

 

«Ricordiamo come negli anni Novanta ci avete promesso che (la Nato) non si sarebbe spostata di un pollice a est». Nella tradizionale conferenza stampa di fine anno dello scorso 23 dicembre, Vladimir Putin era tornato a citare – come fatto di sovente nella sua carriera – l’evento “madre” di tutti gli equivoci nei rapporti tra il Cremlino e la Casa Bianca. Ovvero, quel fatidico «not an inch to the East» pronunciato dall’allora segretario di Stato americano James Baker nel corso di un incontro con Mikhail Gorbachev nel febbraio 1990.

L’immagine del “tradimento” della promessa del non allargamento della Nato è stata utilizzata dal presidente russo come cornice generale all’interno della quale iscrivere le mosse compiute in Georgia nel 2008 e in Crimea nel 2014 nonché la guerra in corso contro l’Ucraina. Ma tale narrazione presenta evidenti fragilità, anche qualora non si voglia prestare credito al diniego di diplomatici e politici americani di aver mai assunto qualche obbligo in tal senso con la controparte sovietica.

L’IMPEGNO PRESUNTO DEGLI STATI UNITI

La prima fragilità affligge l’origine stessa del presunto impegno degli Stati Uniti. Questo, infatti, non trova fondamento in un accordo scritto o in un trattato ma solo in una battuta, seppur fatta tra esponenti politici di altissimo livello.

Non si dimentichi, peraltro, che essa rappresenta solo un frammento nell’ambito di un ciclo di colloqui che – come ammesso anche da Gorbachev – verteva esclusivamente sul “problema” della riunificazione tedesca. Non figurava tra gli scopi dei vertici Usa-Urss del 1990, infatti, il raggiungimento di alcun accordo sul futuro dell’Alleanza atlantica, come confermato dall’assenza di riferimenti a esso nel Trattato sullo stato finale della Germania siglato a Mosca nel mese di settembre.

IL MODUS OPERANDI DELLA RUSSIA

Il secondo elemento di fragilità della narrazione putiniana chiama in causa il modus operandi internazionale della Russia. Quand’anche si accettasse che lo “spirito” dei colloqui del 1990 andava nella direzione del non allargamento, sembra incredibile che un freddo Realpolitiker come il presidente russo si meravigli della loro disapplicazione a decenni di distanza.

Assumendo le lenti interpretative del realismo, gli accordi tra stati – per via della struttura anarchica del sistema internazionale – non possono essere slegati dalle condizioni materiali da cui scaturiscono. Il venir meno di queste ultime, infatti, costituisce la ragione della loro eventuale inosservanza da parte dei contraenti.

Piaccia o meno il principio “pacta sunt servanda, rebus sic stantibus”, non è comunque possibile negarne il peso che esercita sugli accordi formali tra le grandi potenze e, tanto più, su quelli informali. La Russia, d’altro canto, non si è mai fatta scrupolo di applicarlo quando le è tornato utile.

LA VIOLAZIONE RUSSA DEL MEMORANDUM DI BUDAPEST

Come nel caso della stessa invasione dell’Ucraina, avvenuta in palese violazione del memorandum di Budapest del 1994 con cui Mosca si impegnò a rispettare l’integrità territoriale dell’Ucraina e ad astenersi dall’uso della forza nei suoi confronti in ragione del trasferimento del suo arsenale nucleare in Russia. Ancor meno, ha avuto problemi a disattendere le reiterate promesse di non ricorrere all’opzione militare contro Kiev fatte dai suoi vertici politici prima del 24 febbraio.

L’ALLARGAMENTO DELLA NATO

Il processo di allargamento, tuttavia, fu comunque pensato in modo da fornire delle contro-assicurazioni alla Russia, per renderla parte integrante del sistema di sicurezza in Europa. La firma dei protocolli di adesione di Varsavia, Praga e Budapest del 1997 fu preceduta da quella dell’Atto istitutivo delle relazioni Nato-Russia. Allo stesso modo, l’invito ad altri sette paesi ex comunisti nel 2002 prese forma solo dopo il summit di Pratica di Mare, in cui fu creato il Consiglio Nato-Russia per la gestione congiunta delle questioni di sicurezza di interesse comune.

In queste fasi, d’altronde, non furono gli allargamenti della Nato a rappresentare la principale fonte di tensione tra la Russia e gli Stati Uniti. Fu, piuttosto, l’indisponibilità americana a riconoscere a Mosca una “zona di influenza” a spingerla su posizioni sempre più apertamente revisioniste.

(Estratto di un articolo pubblicato su Domani; qui la versione integrale)

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