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Ecco come Bruxelles continua a castrare l’Italia

L'articolo di Fabio Dragoni e Antonio M. Rinaldi

 

“Non tutto il male vien per nuocere”. O se preferite: “il diavolo non è mai brutto come lo si dipinge”. I proverbi per consolarsi si sprecano. Purtroppo ne avremo bisogno, ma per fortuna dicono sempre la verità.

Il ministro Paolo Savona alcuni mesi fa propose inascoltato un nuovo Piano Marshall per il Paese fatto di investimenti pubblici per circa 50 miliardi di euro. Nulla che avrebbe messo a repentaglio le nostre finanze. Quanto sufficiente invece a non mandare in fumo il nostro attivo commerciale col resto del mondo. Come ben sanno gli studenti di economia al primo anno di università, alimentando la domanda interna con minori tasse, maggiore spesa pubblica e più investimenti si darebbe il via alla crescita dell’import. Niente di cui preoccuparsi comunque visto che il nostro attivo delle partite correnti ammonta proprio a circa 50 miliardi. Programma e parole purtroppo inascoltate. Ci siamo dovuti infilare in surreali disquisizioni, con una Commissione Ue a scadenza come la ricotta, su qualche zero virgola in più o in meno di deficit.

Come già scritto dalle colonne di questo giornale mesi fa, dal 2001 al 2017 i nostri investimenti pubblici sono stati mediamente pari al 2,7% rispetto al 3% dell’eurozona. Una differenza apparentemente minima ma che nell’arco di 17 anni si materializza in circa 95 miliardi di mancati investimenti che sarebbero invece stati sufficienti a costruire –ad esempio- altri 1.600 km di ferrovia ad alta velocità in aggiunta ai quasi altrettanti attuali o se preferite, 900 ospedali di ultima generazione in più.

Ma purtroppo il diavolo della crisi sta ora bussando alla nostra porta. La curva dei tassi di interesse in Usa si sta appiattendo quasi invertendo dal momento che un Treasury ad un anno rende praticamente più che uno a 5 e quasi quanto a uno a 10. Un fenomeno preoccupante che se si verificasse in Paesi senza sovranità monetaria, come appunto il nostro e tutti quelli dell’eurozona, significherebbe paura di default e conseguente crisi economica. Negli Usa dove la solvibilità del Governo non è ovviamente in discussione avendo quest’ultimo il monopolio nell’emissione di dollari tramite la Fed, significherebbe soltanto stagnazione se non recessione. Se dalla finanza si passa alla manifattura la situazione non migliora. Anzi tutt’altro. A novembre 2018 la nostra produzione è diminuita del 2,6% rispetto all’anno prima, mentre tutta l’eurozona è addirittura riuscita a fare peggio con un -3,3% grazie al crollo di Berlino la cui industria ha registrato un tonfo di oltre il 5%. Non aspettiamoci troppo dal nostro export se queste sono le premesse, visto poi che in Estremo Oriente si sta materializzando lo spettro di un crollo dell’economia cinese i cui tassi di crescita potrebbero rallentare al 2% annuo (rispetto ai consueti 6-7% degli anni passati). Quanto basterebbe per mandare l’intero mondo in forte recessione. E quanto sarà sufficiente a costringere Roma a fare tutta quella spesa per investimenti che Bruxelles oggi le impedisce di fare. Vedete che il diavolo non è poi così brutto come lo si dipinge?

 

Articolo pubblicato su scenarieconomici.it

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