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Brexit: uno stallo a suon di no, mentre May dice bye bye

Il Punto di Daniele Meloni sullo stallo Brexit

Nemmeno la promessa di farsi da parte dopo l’eventuale voto positivo del suo Brexit Deal ha convinto gli unionisti nordirlandesi a sostenere Theresa May, sempre più proiettata nella storia del Regno Unito come l’ennesimo premier conservatore fatto fuori sulla questione europea. Thatcher, Major, Cameron e ora lei, la donna che aveva detto che la Brexit andava portata a termine e si era erta a paladina del conservatorismo compassionevole (One-Nation Toryism).

Nell’Aula dei Comuni ieri non hanno fatto notizia solo la dichiarazione del Premier, che ha visto anche i deputati dello European Research Group riallinearsi al partito Tory convinti che lo scalpo di May valesse di più dell’accordo sulla Brexit, ma anche le 8 votazioni che hanno dimostrato come a Westminster non ci sia una maggioranza su nulla che riguardi i rapporti tra il Regno Unito e l’Europa: bocciato il modello norvegese, bocciato il secondo referendum, bocciata la revoca dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona, bocciata l’uscita ma con permanenza nel Mercato Unico, bocciato (per ben due volte in passato) il Brexit Deal di Theresa May.

Otto “no” che hanno fatto rumore anche di più dei 3 pronunciati da Margaret Thatcher – la madrina dell’euroscetticismo Tory – contro il piano di superstato europeo progettato da Jacques Delors. Si era nel 1990 e da allora, nel partito Tory, l’Europa è stato sempre più l’elemento divisivo, con le tensioni tra i backbenchers che si sono spesso riversate in aula con veri e propri agguati contro il Governo. John Major ai tempi della ratifica del Trattato di Maastricht ne sa qualcosa. Anche in questo caso da quando il Parlamento ha voluto dire l’ultima parola sulla trattativa tra Londra e Bruxelles, il pur ambizioso e stimolante dibattito sulla Brexit ha preso una deriva un-British, sfociando in un assemblearismo più degno di Weimar e della Quarta Repubblica francese che non della tradizione parlamentare e costituzionale inglese.

Cosa succederà ora è la domanda più gettonata da qualche mese a questa parte. Nel frattempo si è scatenata la lotta per la successione di May. Michael Gove e Boris Johnson, i fratelli coltelli del leadership contest del 2016 sono dati per favoriti, ma anche percepiti come i politici più divisivi in casa Tory. Il Ministro degli Esteri, Jeremy Hunt, il Cabinet Minister, David Lidington, e il Ministro dell’Interno, Sajid Javid, sembrano tutti candidati più plausibili, se non per gli iscritti al partito, almeno per un gruppo parlamentare conservatore che appare impotente e in frantumi.

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