Ieri – 13 maggio – è stato il 25 Aprile di Giorgia Meloni.
La visita del presidente Zelenzky, l’accoglienza ricevuta e gli impegni assunti dal governo italiano a continuare per tutto il tempo che sarà necessario l’assistenza anche militare all’Ucraina, il netto ripudio dell’ipocrisia di coloro che chiamano pace la resa all’aggressore sono tutti atti che collocano l’attuale maggioranza e l’esecutivo dalla parte giusta della storia di oggi. E ciò è molto importante anche non si sono fatti i conti fino in fondo col proprio passato.
Ciò che è stato non si cancella: ma il fascismo di oggi non lo si combatte con l’antifascismo di ieri.
Quando viene il momento di esserlo di nuovo, chi lo è stato nel secolo scorso non può vantare un diritto acquisito in via perpetua, ma deve continuare a riconoscere quale sia la parte giusta in tutti gli appuntamenti che la storia gli riserva.
Nessuno toglie all’URSS il ruolo avuto nella sconfitta del nazismo, ma ora la Russia ne adotta le motivazioni e le linee di azione. E solo dei farisei in malafede possono perdonare i crimini di oggi con i meriti di ieri.
Giorgia Meloni (come prima di lei il presidente Mattarella) ha preso degli impegni molto netti (anche se la premier conosce benissimo i mal di pancia che si avvertano all’interno della sua maggioranza) ed è consapevole di sopperire con il clamore delle iniziative il modesto supporto che l’Italia è in grado di fornire sul piano militare.
Come ebbe a dire in Parlamento, nel dibattito sulla fiducia, il nostro Paese concorre in quota ridotta all’armamento dell’Ucraina, ma Zelenzky è consapevole che un diverso governo, espressione di un’altra maggioranza, sarebbe un alleato assai meno affidabile (anche se per ora il Pd non ha cambiato linea, ma la sua ‘’sofferenza’’ è visibile).
I passaggi della storia hanno delle conseguenze imprevedibili e – nonostante le forze in gioco – l’influenza dei c.d. poteri forti, gli interessi economici che condizionano l’azione della politica, il fatto che gli eventi assumano una direzione piuttosto che un’altra dipendono spesso dal caso o da l’input che ricevono dalle leadership delle nazioni.
Nei giorni scorsi mi ha colpito una considerazione contenuta in un editoriale di Angelo Panebianco nel quali il politologo bolognese sottolineava proprio che nella storia non esiste alcun determinismo e che – come diceva Margaret Thatcher – l’imprevedibile accade.
Panebianco faceva l’esempio di un sovrano che prima di andare in battaglia manda uno scudiero a chiedere rinforzi. Il cavallo perde un ferro così il messaggero arriva in ritardo, i rinforzi giungono sul campo quando la battaglia è perduta e il re è sconfitto. Si potrebbe in proposito ricordare anche il pensiero di Blaise Pascal sul naso di Cleopatra o sul calcolo nel rene di Olivier Cromwell.
Senza fare paragoni con avvenimenti di un passato anche recente che hanno deviato il corso prevedibile della storia (basti pensare a Dunkerque, nel maggio-giugno del 1940, e a come una sostanziale disfatta si tramutò in un successo militare che consentì al Regno unito di non trattare la resa con il Reich le cui armate avevano invaso e soggiogato gran parte dell’Europa) anche in Ucraina vi sono stati fatti e persone che hanno cambiato l’assetto geopolitico del mondo.
L’imprevedibile è stata la capacità di resistenza del popolo ucraino. Nelle regole della guerra le operazioni militari speciali sono in pratica colpi di mano, blitz di pochi giorni che raggiungono l’obiettivo previsto.
Da parte di Putin la definizione era corretta rispetto alle sue aspettative. Mentre le truppe russe marciavano su Kiev, lo zar fece appello al’esercito ucraino a ribellarsi e a deporre il governo dei drogati e dei nazisti.
Dall’altra parte del mondo Joe Biden, che pure si aspettava l’aggressione, non invitò i russi a desistere, minacciando sanzioni e rappresaglie, ma si affrettò a dichiarare che nessun militare americano avrebbe mai calpestato il suolo ucraino e ad offrire un salvacondotto sicuro a Zelenzky e famiglia.
Putin si accorse presto di aver sbagliato i calcoli (un’avventura come l’entrata in guerra dell’Italia nel 1940). Anche l’amministrazione Usa, la Nato e l’Europa, di fronte alla resistenza ucraina e alle difficoltà degli invasori, non poterono far finta di nulla come avevano fatto al momento dell’invasione della Crimea; e come l’anno prima quando i russi avevano schierato le truppe ai confini della Bielorussia per difendere il governo fantoccio di Minsk.
Le istituzioni e i governi occidentali avrebbero preferito non essere coinvolti. I paesi europei meno che meno, per i rapporti economici con la Russia (si pensi soltanto alla questione delle forniture energetiche). E’ sufficiente valutare come l’assistenza militare sia intervenuta in un momento successivo alla prima fase dell’aggressione e abbia proceduto con il contagocce. Solo dopo più di un anno di conflitto, alcuni Paesi hanno cominciato ad inviare materiale bellico più sofisticato in grado anche di attaccare non solo di difendersi, con l’avvertenza di non colpire al di là dei confini con la Russia.
Non c’è dubbio che quel signore che ieri si è presentato a Roma ha svolto un ruolo importante nello sparigliare i calcoli delle grandi potenze. Eppure nessuno avrebbe scommesso un nichelino su questo ex attore che aveva recitato da presidente in una fiction, prima di essere eletto in quel ruolo. Come se Luca Zingaretti venisse nominato capo della polizia di Stato.
Sembrava una delle tante storie dei film americani dove un signor Nessuno, magari un sosia del presidente vero, si insedia alla Casa Bianca e governa bene. Ricordo che la colf ucraina di mia moglie al momento delle lezioni organizzò un viaggio al consolato di Milano con alcune sue colleghe per andare a votare Zelenzky. Io le feci notare il caso di Grillo, ma lei si mostrò molto sicura della scelta, anche se era originaria del Donbass.
Tutto sommato, la stessa linea di condotta di Giorgia Meloni non era prevedibile, per le posizioni espresse in un passato abbastanza recente. Giorgia ha capito – fin da quando era all’opposizione ma già consapevole delle reali possibilità di vincere le elezioni – che a Kiev si celebrava per lei la ‘’messa della vita’’; e che, mettendosi al riparo degli Usa nella questione che stava più a cuore all’amministrazione Biden, lei (che era stata ad omaggiare Trump) poteva sottrarsi alle ostilità che l’Europa avrebbe riservato al suo governo.
Così Meloni questa volta ha capito quale fosse la parte giusta dove stare fino in fondo. E ha agito bene, perché – come ha scritto Gabriel Garcia Marquez – chi ha vissuto cent’anni di solitudine non avrà un’altra occasione nella vita.