Il dialogo tra Palazzi del Potere e bellezza dell’arte non è scontato, anzi appare talvolta un contrasto stridente, si veda per esempio la polemica infinita sui finanziamenti alla cultura e allo spettacolo. Ma c’è un messaggio che alcuni capolavori lanciano in modo semplice, adamantino, che le istituzioni e i decisori politici farebbero bene a cogliere.
In Senato si è tenuta l’inaugurazione della mostra sulla Bibbia di Borso d’Este che sarà aperta al pubblico da domani al 16 gennaio, nella Sala Capitolare. Parliamo di uno dei massimi capolavori dell’arte rinascimentale italiana, in assoluto. L’esposizione, inserita nel programma delle attività giubilari, è promossa dal Senato con la Presidenza del Consiglio, il Ministero della Cultura, le Gallerie Estensi, il Commissario per il Giubileo e l’Istituto Treccani. L’evento costituisce un’occasione straordinaria per ammirare la Bibbia che non viene sostanzialmente mai fatta uscire dalle teche modenesi dove riposa.
“Sfogliando queste pagine ci si rende conto del lavoro dei miniaturisti, dei pittori, degli amanuensi e della grande carica ideale che stava dietro a ciascuno di loro e soprattutto di quanto Borso d’Este abbia investito per una sola copia, il che significa che ne vale veramente la pena”, ha detto il sottosegretario Mantovano. E oggi, la bellezza non conta più, si è laicizzata, banalizzata, democratizzata? Semplicemente, e inconsapevolmente, zoppica nel tentativo di tornare alle proprie origini.
La multimedialità odierna non è che il recupero della bellezza della combinazione tra immagine e parola da cui nasce la gran parte delle nostre opere maggiori: affreschi, libri miniati, pittura, scultura… Capolavori dove la parola è talvolta apparentemente muta, oppure incomprensibile (per secoli, chi pure ammirava l’arte molto spesso non era in grado di leggere), ma accompagnata da un corredo iconografico che la sostituisce e valorizza. Quanta trasmissione di contenuti è avvenuta senza spendere (troppe) parole. Ecco il messaggio che la politica, le istituzioni, i media e noi tutti potremmo e dovremmo cogliere dall’arte del passato.
L’altro messaggio importante della mostra sta nel suo titolo “Et vidit deus quod esset bonum”, “E Dio vide che era cosa buona”: il passo della Genesi che scandisce i giorni della Creazione (la frase viene ripetuta più volte), alludendo alla perfezione e all’armonia del mondo voluto da Dio. Il quale però, il testo lo dice chiaramente e inequivocabilmente, si rende conto della perfezione del Creato solo dopo averlo creato. La perfezione di Dio dev’essere provata, misurata da Dio stesso, anche perché altri giudici non c’erano.
Un altro comandamento che la politica e i media farebbero bene a imprimersi come antidoto alla loro, alla nostra prosopopea. Persino Dio non è sicuro di sé stesso, finché non ha le prove.






