skip to Main Content

Quirinale Berlusconi

Berlusconi, Tacito e la discesa in campo contro la gioiosa macchina da guerra

“Chiesi ai mei sondaggisti se si poteva evitare la vittoria dei comunisti. Mi dissero di sì. “Ma solo se scende in campo lei”. Lo feci”. Così Silvio Berlusconi

“Chiesi ai mei sondaggisti se si poteva evitare la vittoria dei comunisti. Mi dissero di sì. “Ma solo se scende in campo lei”. Lo feci”. Così Silvio Berlusconi, un po’ tacitaniamente, ha voluto ricordare dal letto dell’ospedale le origini della sua avventura politica in una telefonata ricevuta e raccontata da Augusto Minzolini. Che è il direttore, anzi “direttorissimo”, come lo chiama con meritata simpatia l’ex presidente del Consiglio, del Giornale ancora di famiglia ma in via di acquisto da parte degli Angelucci, editori già di Libero e del Tempo.

Anche io penso, come lo stesso Berlusconi ha detto sempre a Minzolini, e i suoi familiari e amici ai giornalisti dopo essere andati a trovarlo, che anche questa volta “il leone” o “la roccia”, secondo le definizioni, rispettivamente, di un figlio e del fratello, ce la farà alla faccia di chi lo sta celebrando come se fosse già morto. Ma mi ha colpito lo scrupolo autobiografico col quale egli ha voluto precisare come e perché una trentina d’anni fa smise ad un certo punto di sollecitare gli altri a organizzarsi meglio per affrontare le elezioni che sI avvicinavano, e la famosa e “gioiosa macchina da guerra” allestita dall’ultimo segretario del Pci e primo del Pds Achille Occhetto. E ne allestì una sua, di macchina, destinata a sorprendere tutti e a vincere, sino a portarlo direttamente a Palazzo Chigi, senza le tappe intermedie e tradizionali dei leader succedutisi nella cosiddetta prima Repubblica: deputato, o senatore, relatore di qualche legge importante, sottosegretario, ministro, magari capogruppo, segretario del partito e infine capo del governo sullo sfondo di un Quirinale da scalare a tempo debito, e col permesso più della fortuna che della bravura, astuzia e quant’altro.

A convincerlo furono quindi i sondaggisti, più che la sua ambizione, o la paura attribuitagli dalla buonanima di Enzo Biagi, ma anche da altri ancora in vita, di affrontare da semplice imprenditore gli scenari politici destinati a sostituire quelli dominati ultimamente dal cosiddetto Caf: l’acronimo dell’alleanza o combinazione fra Craxi, Andreotti e Forlani. Che certamente non gli erano stati ostili sulla strada degli affari edili e editoriali.

Di quei sondaggisti ricordo ciò che una volta mi volle raccontare tra battute ironiche, delle quali era uno specialista raffinato, e forti preoccupazioni l’allora e ultimo segretario della Dc Mino Martinazzoli, reduce da un incontro avuto con lui, credo, nella sua Brescia, facilmente raggiungibile da Arcore. “Quelli – mi disse parlando appunto dei sondaggisti – gli hanno fatto perdere la testa. Lo fanno andare in giro con una montagna di grafici e prospetti secondo i quali senza di lui saremmo tutti finiti, e magari verrebbe ripristinato anche il comunismo finito tra le macerie del muro di Berlino”. E mi pregò – sapendo dei nostri rapporti di amicizia e di lavoro, ma sopravvalutandoli un po’ troppo – di persuaderlo ad una visione “più realistica” – disse – della situazione politica, certamente non semplice, e delle prospettive da costruire “non giocando al pallottoliere”. Non ne ebbi l’occasione. O la ebbi troppo tardi, quando già il Cavaliere  -o “il dottore” come ancora lo chiamavamo un po’ tutti nel gruppo del Biscione – aveva già intessuto i suoi rapporti e preso le sue decisioni, confortato – avrebbe poi raccontato – anche dalla mamma originariamente perplessa, a dir poco, pure lei.

Poi ebbi l’impressione, a torto o a ragione, che i rapporti di Berlusconi con i sondaggisti avessero finito per rovesciarsi, nel senso che non fosse stato più lui a farsene condizionare ma loro ad assecondarlo. Alcuni di essi infatti scomparvero letteralmente dalla scena e ne subentrarono altri, fra i quali eccelle per notorietà e una certa avvenenza da qualche tempo Alessandra Ghisleri. Che tuttavia è apprezzata anche da giornali non proprio teneri con Berlusconi, pure in questi giorni di ricovero in “terapia intensiva”, sottolineata immediatamente dal quotidiano dei vescovi italiani, Avvenire. Che tuttavia sa bene, come Repubblica con quella rumorosa titolazione sul traffico “al capezzale” dell’ex presidente del Consiglio, come dagli ospedali si possa uscire ancora vivi, e non per forza morti o impediti.

Back To Top