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Ayuso

Ayuso a Madrid ha vinto grazie a toni trumpiani

Il Pp ha vinto le elezioni con un discorso e una retorica dal sapore trumpiano e di berlusconiana memoria. L'analisi di Steven Forti, professore di Storia Contemporanea presso l’Universitat Autònoma de Barcelona, tratta da Affari Internazionali

 

Possono delle elezioni regionali cambiare il panorama politico nazionale? A volte è successo, altre volte no. Questa è la grande domanda che si stanno facendo in molti in Spagna dopo il voto del 4 maggio nella comunità autonoma di Madrid. I risultati non permettono molte letture: stravince la destra, mentre la sinistra, che governa il Paese, ne esce con le ossa rotte.

Con una partecipazione record (76%), un dato ancor più significativo in tempi di pandemia e in un inedito giorno feriale, il Partido Popular (Pp) raddoppia i voti ottenuti nel 2019 (dal 22 al 44%), sfiora la maggioranza assoluta (65 seggi su 136) e riconquista l’egemonia a destra, perduta nell’ultimo lustro con l’ingresso in scena di due competitor, i liberali di Ciudadanos e l’estrema destra di Vox. I primi crollano al 3,5%, rimanendo al di sotto della soglia di sbarramento, quando due anni fa furono sul punto di sorpassare il Pp. Vox, invece, migliora di poco i risultati del 2019 (9,1% e 13 seggi), ma non sfonda.

La mossa di convocare elezioni anticipate da parte della presidentessa regionale Isabel Díaz Ayuso è risultata dunque più che vincente: il Pp potrà tornare a governare in solitaria la regione, spazza via in un sol colpo il suo ex socio di governo – Ciudadanos – e riduce le aspettative di Vox. È pur vero che Madrid è una roccaforte dei popolari da ben 26 anni e che Ayuso avrà bisogno dell’appoggio esterno dell’ultradestra, ma potrà governare da sola, per quanto in minoranza. Uno scenario che in pochi avevano previsto. È una vittoria senza se e senza ma che rilancia il Pp anche sullo scenario nazionale.

TONFO A SINISTRA, IGLESIAS ESCE DI SCENA

A sinistra le flebili, ma mai sopite speranze di recuperare Madrid dopo oltre un quarto di secolo si sono sciolte come neve al sole. I socialisti soffrono la peggiore batosta della loro storia nella regione: con il 16,8% e 24 deputati vengono addirittura sorpassati da Más Madrid (17%, 24 seggi), formazione fondata due anni fa dall’ex numero due di Podemos, Íñigo Errejón, che converte la sua candidata, Mónica García, nella vera leader dell’opposizione a Ayuso.

Legislatura in salita per il governoMentre Unidas Podemos (Up) migliora sì i propri risultati (da 7 a 10 seggi, con il 7,2%), ma non ottiene quel balzo in avanti sperato da Pablo Iglesias, che a marzo si era dimesso da vicepresidente del governo per correre a queste elezioni regionali. Iglesias ha sì salvato il salvabile – Up rischiava di rimanere fuori dall’Assemblea regionale –, ma non è riuscito ad attivare più di tanto il voto a sinistra. Più probabilmente, una figura divisiva come la sua ha esarcerbato una campagna elettorale di per sé già parecchio polarizzata – ha ricevuto minacce di morte e vive ormai sotto scorta – e ha avuto come conseguenza una mobilitazione del voto di destra senza precedenti. Lo ha ammesso lo stesso Iglesias, che la notte del 4 maggio ha annunciato che abbandona la politica, non certo una notizia positiva per il governo.

Il voto madrileno avrà delle ricadute in ambito nazionale. La questione è capire fino a che punto. In primo luogo, il governo di coalizione formato dai socialisti del Psoe e da Unidas Podemos è ora più debole. Il pessimo risultato dei socialisti a Madrid non può non essere letto anche come un voto di castigo per la gestione della crisi sanitaria e socio-economica da parte del governo in quest’ultimo anno. Il premier Pedro Sánchez, insomma, non ne esce affatto rafforzato. Tutt’altro.

La legislatura, di per sé già molto complicata nel contesto della pandemia, sarà dunque ancora più in salita per un esecutivo di minoranza che conta sull’appoggio di diverse formazioni regionaliste e nazionaliste in un Parlamento quanto mai frammentato. In una fase cruciale per il paese iberico, così come per tutta Europa, sarà molto complicato, se non impossibile, arrivare ad intese su riforme necessarie – pensioni, Consiglio superiore della magistratura, sistema finanziario regionale, tra le altre – per cui sono necessarie maggioranze qualificate. Ancor più che adesso il Pp utilizzerà Madrid come bastione per far cadere il governo.

Senza dimenticare che rimane l’annosa questione catalana da risolvere: Sánchez avrà il coraggio di portare avanti, come promesso, un’agenda di distensione con Barcellona? Con un Pp barricadero e rinvigorito dal successo di Ayuso non sarà facile. E ciò potrebbe avere come conseguenza il ritiro dell’imprescindibile appoggio degli indipendentisti catalani nelle Cortes di Madrid.

I POPOLARI FRENANO VOX, MA A CHE PREZZO?

Il Pp ha vinto le elezioni con un discorso e una retorica dal sapore trumpiano e di berlusconiana memoria. Il lemma di Ayuso – a cui le sinistre hanno opposto un epico e probabilmente esagerato “democrazia o fascismo” – è stato “comunismo o libertà”: la libertà di aprire bar e ristoranti in barba alle restrizioni sanitarie decise dal governo centrale o quella di abbassare ancora di più le tasse nella regione più ricca del Paese, dove l’imposizione fiscale è già la più bassa di tutta la Spagna.

Molte elezioni si giocano ormai più sul frame che riesce ad imporre un candidato che sui dati reali: con una mortalità più alta del 30% rispetto al resto del Paese, si è parlato pochissimo della pessima gestione sanitaria di Ayuso e molto di più della possibilità di potersi bere una birra nei bar aperti fino a mezzanotte.

I popolari hanno frenato Vox, certo, ma al prezzo di virare ancora più a destra e di radicalizzare il proprio discorso. Il leader del Pp, Pablo Casado, a ottobre si era sganciato dall’ultradestra, criticandola duramente in Parlamento: ora, volente o nolente, è costretto ad abbracciarla. Il Pp, insomma, ha scelto con Ayuso di essere più Boris Johnson che Angela Merkel.

Rimane da capire quanto i risultati di Madrid siano esportabili al resto del Paese. L’uscita di scena di Ciudadanos è data ormai per certa, ma il resto sono ancora delle incognite (dalla tenuta dei socialisti alle correlazioni di forza tra PP e Vox). Saranno comunque mesi intensi dove potrebbe avere inizio un cambio di ciclo politico favorevole alle destre. Non sono da scartare, ad esempio, anche altre elezioni regionali anticipate come in Andalusia dove il Pp, che governa in coalizione con Ciudadanos, potrebbe tentare la stessa giocata di Ayuso. La strada per Pedro Sánchez è ora più in salita di prima.

 

Articolo pubblicato su affarinternazionali.it

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