Una delle proposte più dibattute del Presidente della Repubblica Argentina, Javier Milei, riguarda l’adozione del Dollaro USA come valuta ufficiale in sostituzione del Peso argentino. Questa manovra ha subito suscitato un dibattito interno al paese, ma anche a livello internazionale, sulla sua fattibilità. In questo breve articolo si cercherà di descrivere i precedenti storici nella convinzione che l’attuale Presidente argentino possa trarne insegnamento e che questa volta potrebbe essere diverso, con qualche chance in più di successo rispetto al passato.
In America Latina l’Argentina non sarebbe certo il primo Paese ad adottare il Dollaro come valuta nazionale, esistendo casi pregressi: Panama (ha adottato il dollaro nel lontano 1904), Ecuador (nel 2000) e El Salvador (nel 2001) sono infatti tre Stati che hanno la valuta statunitense come valuta ufficiale in circolazione anche se con risultati controversi.
Prima di descrivere brevemente gli avvenimenti economici che hanno interessato i tre Paesi dell’America latina, è importante sottolineare che essi hanno due caratteristiche in comune che hanno favorito, almeno inizialmente, il processo di dollarizzazione della loro economia:
- sono di dimensioni, sia demografiche che economiche, abbastanza ridotte: Panama ha una popolazione di 4 milioni di abitanti ed un PIL pari a circa 76,5 miliardi di Dollari; l’Ecuador ha una popolazione pari a circa 18 milioni di abitanti e un PIL pari a circa 115 miliardi di Dollari; infine El Salvador ha una popolazione di circa 6 milioni di abitanti ed un PIL pari a circa 32,5 miliardi di Dollari;
- hanno un valore dell’interscambio commerciale e della bilancia dei pagamenti con gli USA relativamente importante.
Panama ha tratto da questo sistema alcuni vantaggi come l’eliminazione del rischio nello scambio di valuta estera, del disallineamento valutario o degli attacchi speculativi. Inoltre, le caratteristiche dell’industria locale, la quale svolge principalmente un ruolo intermediario nella value chain internazionale, hanno aiutato un simile processo: le oscillazioni del Dollaro (svalutazioni/rivalutazioni rispetto alle altre valute internazionali) verificatesi nel tempo sono state neutralizzate con l’importazione di beni e servizi da altre economie senza colpire il tasso di cambio reale. In definitiva, Panama, grazie alle sue caratteristiche macroeconomiche e della sua struttura produttiva, ha beneficiato positivamente del processo di dollarizzazione.
Cosa non si può dire di Ecuador e El Salvador. L’Ecuador ha adottato il dollaro nel 2000, abbandonando il Sucre come valuta nazionale. Nei primi anni, dopo qualche problema iniziale, i risultati furono positivi difendendo l’economia del Paese dagli alti prezzi del petrolio e favorito un controllo della spesa pubblica, con una Banca Centrale indipendente e un tasso di cambio stabile e affidabile. Tuttavia, dal 2009 ad oggi gli effetti sono stati negativi, con una Banca Centrale depotenziata dei suoi strumenti (la politica monetaria non è più sovrana) e una minore competitività delle merci. La sostituzione del Sucre con il Dollaro pur stabilizzando l’economia nel lungo periodo non ne ha risolto i problemi a differenza del caso panamense.
Infine, El Salvador. Esso avendo un elevato valore dell’interscambio commerciale con gli Stati Uniti, ha visto come principale obiettivo della dollarizzazione la riduzione dei costi di transazione e dei tassi di interesse e la possibilità di attrarre maggiori capitali dall’estero. Questi risultati, ad oggi, sono stati conseguiti solo in parte, con una minore competitività delle merci salvadoregne nei confronti dell’estero e un aumento del debito pubblico. Il problema, infatti, è insito nel sistema macroeconomico salvadoregno e non nel dollaro stesso che ha offerto garanzie soprattutto sull’inflazione.
Da questa breve analisi è evidente che sostituire la propria moneta nazionale con il Dollaro non è la “soluzione finale” ai problemi economici di un Paese ma, un simile intervento di politica monetaria deve necessariamente essere affiancato da riforme strutturali che possano trasformare gli effetti positivi di breve termine in una trasformazione strutturale di lungo periodo dell’economia interessata.
Fatta questa premessa, ci focalizzeremo ora sul caso argentino attuale, ricordando che l’Argentina, a differenza dei tre piccoli Stati menzionati in precedenza, ha una popolazione di circa 46 milioni di abitanti e un PIL pari a circa 631 miliardi di dollari. Quindi, presenta uno scenario abbastanza diverso rispetto ai precedenti, considerando la prospettiva della dollarizzazione.
In questo contesto, il Presidente Milei ha sostenuto di recente che la manovra valutaria metterebbe sotto controllo l’iperinflazione e che questa manovra non potrà essere effettuata nell’immediato, ma richiederà tempo e riforme dimostrando, grazie all’insegnamento di ciò che è avvenuto storicamente in Argentina e negli altri Paesi sopra citati, che non vuole usare la dollarizzazione come l’unica soluzione alle criticità dell’economia Argentina. Al contrario, favorirà un’azione di politica monetaria da attuare solo dopo la realizzazione di altre riforme strutturali in una ottica di lungo periodo.
Noi rileviamo che questo nuovo approccio rispetto alle passate esperienze argentine di dollarizzazione dell’economia, potrebbe aumentare le possibilità di successo della nuova politica economica. Un nuovo approccio che potremmo sintetizzare nel fatto che la dollarizzazione non è vista come punto di partenza ma come obiettivo finale di politica economica dopo aver conseguito le riforme strutturali, ribaltando la logica seguita nelle esperienze pregresse di altri Paesi e della storia economica dell’Argentina.
Il Presidente Milei, da par suo, ha probabilmente anche la consapevolezza di economista che il vero problema non fosse “la debolezza del Peso” ma le cause che ne determinano la sua debolezza come la bassa produttività del lavoro e dei capitali unitamente alla scarsa competitività delle produzioni che determinano l’elevata inflazione. La debolezza della moneta, quindi, come effetto non causa della bassa crescita e dell’alta inflazione.
Inoltre, sembra di comprendere che la politica economica e monetaria di Minei sia passata da un approccio di breve periodo a quello di lungo periodo dove le riforme strutturali dell’economia sono solo l’inizio di un percorso che porti, solo in un secondo momento, alla sostituzione del Peso con il Dollaro, stravolgendo la logica di politica economica dei suoi predecessori.
Su questi aspetti esiste un acceso dibattito sia a livello accademico che delle Istituzioni internazionali. Ad esempio, il Professor Steve H. Hanke, docente di economia applicata alla John Hopkins University e consulente di numerosi governi, sostiene che, contrariamente ad altri economisti, la dollarizzazione dell’economia argentina non solo sia fattibile, ma pure desiderabile. Hanke, che aveva scritto la legge per la dollarizzazione per la Presidenza Menem nel 1999, collabora attivamente anche con il team di Milei e ha dichiarato che lasciare il progetto sarebbe “un errore fatale” vista l’impossibilità di riorganizzare l’economia argentina tramite i Piani di Aggiustamento Strutturale del FMI, che Hanke stesso ha definito poco efficaci.
Di parere diverso è il FMI che ha espresso le proprie riserve su questa operazione asserendo che la dollarizzazione non può sostituire una politica monetaria sana e che l’Argentina dovrebbe migliorare la propria produttività ed aprirsi ad investimenti esteri, riformare il sistema fiscale e solo allora la dollarizzazione potrebbe essere un’opzione. Una posizione, tuttavia, che non smentisce l’approccio di Minei, fondato proprio sulle riforme strutturali e sul lungo periodo. Tuttavia, il FMI non crede che questa operazione possa contribuire significativamente a dare una stabilità macroeconomica di lungo termine all’Argentina.
In conclusione risulta evidente come un processo di dollarizzazione di una economia è un percorso complesso e lungo da affrontare per un paese: è un approccio di politica economica e monetaria che nel breve termine, come abbiamo visto, ha un effetto stabilizzatore, ma nel lungo termine non ha alcuna garanzia di successo economico, in quanto solo un particolare assetto macroeconomico e istituzionale, accompagnato da riforme strutturali, può garantire il successo completo dell’operazione con tassi di crescita elevati e il miglioramento della bilancia dei pagamenti.
Il Presidente Minei sembrerebbe essere consapevole di queste difficoltà e considerata l’esperienza della recente storia economica dell’Argentina e di quella fatta dai piccoli Paesi latino americani nei confronti del processo di dollarizzazione, potrebbe evitare gli errori del passato e conseguire gli obiettivi di politica economica prefissati. Questa volta potrebbe essere diverso.