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Scholz Baerbock

Annalena Baerbock e l’ambientalismo poco sinistro dei Verdi tedeschi

L'approfondimento di Gennaro Malgieri, giornalista e saggista

Una nuova stella è apparsa nel firmamento politico tedesco (e forse europeo). Una stella verde, come il partito che guida con crescente successo: i Grünen. È Annalena Charlotte Alma Baerbock, trentottenne co-presidente del movimento ambientalista Alleanza 90/I Verdi, insieme con Robert Habeck, scrittore cinquantenne e deputato dello Schleswig-Holstein da dieci anni. Per quanto stimato e considerato anche per i suoi incarichi governativi, Habeck rischia di essere “oscurato” dall’intraprendente e fascinosa Annalena che di fatto viene riconosciuta come il futuro leader unico dei Verdi tedeschi arrivati secondi dopo la Cdu di Angela Merkel alle elezioni europee e primi in un sondaggio reso noto la scorsa fine settimana.

La Baerbock ha contribuito, insieme al suo collega Habeck, a svecchiare il movimento ambientalista tedesco pur sempre “vigilato” a distanza da colui che continua ad esserne considerato il guru: Joschka Fischer, settantunenne politico di vecchia generazione che ha costruito la sua fama sul leaderismo sessantottino e poi sulle ottime prove come ministro degli Esteri e vice-Cancelliere di Gerhard Schröder.

L’attuale dirigenza Grünen, sia dal punto di vista generazionale che politico, è lontana dal “gauchisme” che caratterizzava i Verdi dopo il 1989 quando cominciò a delinearsi la nuova Germania in conseguenza della caduta del Muro. Non c’è integralismo ideologico e non ci sono pregiudizi nelle alleanze tra coloro che militano apertamente a favore di politiche che siano efficaci nel contrasto alle conseguenze dei mutamenti climatici e alla salvaguardia della natura dallo scempio planetario dovuto alla globalizzazione turbocapitalista.

Baerbock incarna al meglio la “Nouvelle vague” ecologista tedesca grazie anche alla sua giovanile ed avvenente presenza nei dibattiti, oggettivamente un po’ vecchiotti, della Germania anchilosata dal lungo esercizio del potere da parte della Merkel.

Nata ad Hannover, deputata al Bundestag dal 2013 dopo aver ricoperto nel partito numerosi incarichi che ne hanno segnato la crescita, la Baerbock, dunque, non è una sprovveduta senza arte né parte, ma una vera e propria militante politica di nuovo conio: preparata, determinata, lanciata verso vette più ambiziose con un curriculum culturale impressionante: lauree in Scienze politiche e Diritto pubblico, master in Diritto pubblico internazionale alla London School of Economics ed esperienze formative all’istituto britannico di Diritto internazionale e comparato. Nel 2017 è stata eletta per seconda volta nel difficile collegio del Brandeburgo e lo scorso anno, in gennaio, è diventata co-presidente dei Verdi.

Non si ferma più, sostengono a Berlino. E c’è già chi dice che studia da Cancelliere. Tutt’altro che improbabile, posto che il declino della Cdu-Csu sembra inarrestabile e la candidata alla successione della Merkel, Annegrette Kramp Karrenbauer, non sembra avere lo stesso ascendente della “solare” Annalena.

La de-ideologizzazione dei Grünen, ha favorito l’affermazione di chi è in grado di guardare al di là degli antiquati stereotipi politici novecenteschi e lanciare nuove sfide che raccolgono le simpatie di ampi strati della popolazione non necessariamente legati a pregiudizi politico-culturali. Sicché, la Baerbock nell’invitare i suoi connazionali, ma parlando di fatto all’Europa, ha ottenuto il risultato di convogliare attorno al suo partito l’interesse per i nefasti effetti dei mutamenti climatici che non solo si riverberano sulla salute dei cittadini, ma sono altamente nocivi all’agricoltura e devastanti per l’ecosistema del quale noi tutti siamo parte.

Che il 26% dei tedeschi oggi risulti schierato dalla sua parte su un tema di così stringente attualità e drammaticità significa che consente con la Baerbock nel considerare la questione un tema “europeo”, anzi il tema europeo per eccellenza dal quale dipenderà il destino delle future generazioni. E ciò vuol dire che una maggiore integrazione continentale per fronteggiare la catastrofe che soltanto chi è affetto da cecità politica non vede, è la strada maestra per tentare di arginarla.

Certo, dei Verdi degli anni Settanta e Ottanta è rimasta l’eredità quasi romantica dell’opposizione all’energia nucleare, ma oggi non sembra questo il cuore della politica dei Grünen. Già nel 1982 la componente più moderata del partito diede vita al Partito ecologista democratico, oggi presente quasi unicamente in Baviera. Esso contestava le forme di protesta troppo radicali messe in atto dal movimento, mentre i Verdi si andavano sempre più impegnando nelle battaglie in favore dei diritti civili e per forme scolastiche meno autoritarie d’insegnamento, oltre che contro opere pubbliche dal forte impatto ambientale. Quasi tutto questo “armamentario” se non riposto è stato ridimensionato.

Le considerazioni sul rigore nell’insegnamento scolastico, per esempio, sono state dimenticate, mentre il tema della meritocrazia ha fatto irruzione anche nelle file dei Verdi tra i quali nessuno o quasi si definisce aprioristicamente di sinistra: infatti la Neue Linke è un avversario dichiarato.

Lei, la Baerbock, pur non essendo la star assoluta dei Verdi, ruolo che lascia al più esperto Habeck, è lei che attira curiosità e mobilita uomini e donne alle riunioni a cui partecipa. Sicché non è improbabile considerarla una frontwomen dell’universo verde tedesco riconoscendole il merito di aver ricomposto un’antica frattura nel movimento, quella tra fondamentalisti e realisti. Oggi i Grunen sono una falange unita, grazie a questa donna che misura i passi dell’ambientalismo tedesco con obiettivi che possono essere realizzati. All’unità del movimento si deve se governano in otto lander, indifferentemente anche con alleati conservatori purché al centro del rapporto vi sia il clima e ciò che produce. Al “Corriere della sera”, intervistata domenica scorsa, da Paolo Valentino, ha detto: “Non ci siamo chiusi in noi stessi. Ci misuriamo con le grandi questioni. Facciamo proposte, indichiamo una prospettiva: come tenere insieme l’Europa? Come portare la Germania fuori dalla dipendenza energetica dai combustibili fossili offrendo nuove prospettive a chi ci lavora? Penso anche che noi Grünen abbiamo preso sul serio i giovani, la generazione che vivrà sulla propria pelle le conseguenze della crisi del clima. Abbiamo dato loro fiducia, portandoli anche nella politica reale e candidandoli nelle nostre liste”.

Più chiara di così… E per chi non l’avesse capito, ha aggiunto, in merito alle prospettive che si propone di realizzare: “L’Europa ha assicurato 70 anni di pace. E su questo fondamento vogliamo continuare a costruire per il XXI secolo. È nata come Comunità del carbone e dell’acciaio, ora deve diventare Unione della difesa del clima. Dobbiamo far sì che il mercato interno non valga solo per merci e servizi ma anche per i prodotti digitali. I giganti del Web devono pagare le tasse e dobbiamo investire nella coesione dell’Europa. Non serve amministrare lo status quo, così si diffonde il sentimento che la politica protegga il potere non le persone. Invece è vero il contrario: l’economia, nel senso dell’economia sociale di mercato, dev’essere al servizio delle persone”.

Un po’ diverso dal discorso “innovativo” di sovranisti all’acqua di rose che sulle tasse ai “giganti del Web” si sono opposti di recente al Parlamento europeo.

Annalena sembra convogliare su temi del genere l’interesse di giovani che in tal modo riscoprono il senso della Heimat, “la piccola Patria”, il luogo delle origini, la “casa della comunità”. Un concetto che supera alcune anticaglie della vecchia sinistra rilanciando, forse del tutto inconsapevolmente, un grande tema culturale proprio della “sensucht” conservatrice. Del resto l’ecologismo, soprattutto in Germania, ha origini in quell’ambiente. Basta ricordare il movimento dei Wandervogel, della fine dell’Ottocento, (“Uccelli migratori”) formato da gruppi di studenti medi e universitari influenzati dalla cultura conservatrice, spiritualmente aristocratica ed antiborghese che metteva al centro della propria riflessione il tema della natura come fondamento di un’umanità organicamente strutturata. Da esso presero spunto intellettuali e poeti come Ludwig Klages e Stefan George. Ed in parte influenzarono più tardi il movimento della Rivoluzione conservatrice.

Più vicini a noi i provvedimenti filo-ecologisti dei presidenti repubblicani Richard Nixon e Ronald Reagan. Il primo creò la Environmental Protection Agency (nel 1970 propose 36 differenti leggi ambientali), e sfidò il senatore democratico Ed Muskie per vedere chi fosse il più deciso nel ridurre l’inquinamento atmosferico. Contemporaneamente, in California, l’allora governatore Ronald Reagan dedicò buona parte del suo discorso sullo Stato della nazione ai problemi ambientali, affermando “l’assoluta necessità di combattere una guerra totale contro il degrado dell’ambiente”. Reagan scrisse su Nation’s Business che “il grande tema che più probabilmente dominerà l’attenzione politica della nazione negli anni Settanta [è] la protezione ambientale… La mentalità da bulldozer del passato è un lusso che non possiamo più permetterci. Le nostre strade e qualunque altro progetto pubblico devono essere pianificati in modo da evitare la distruzione dei nostri paesaggi, e da evitare di modificare senza motivo l’equilibrio ecologico”.

La National Review, riferimento storico dei conservatori, scriveva che se le industrie non la smettevano di inquinare “dobbiamo trovare il modo di costringerle… Si dovrebbe intervenire presso le persone che contano ancor prima che accadano fatti spiacevoli. Invece di manifestare nella Quinta Strada in nome dei cuccioli di foca, i difensori dell’ambiente otterrebbero risultati assai migliori picchettando i country club delle contee di Nassau, Fairfield e Morris”.

Altro che le temerarie, nonché ridicole, invettive di Donald Trump contro le politiche climatiche come se fossero ubbie di hippyes fuori stagione! Vorremmo ricordargli che il fondatore del moderno Grand Old Party, il senatore Barry Goldwater , unitamente al più intellettualmente cospicuo conservatore James Buckley non fecero mistero del loro ambientalismo, e si era negli anni Sessanta.

Per venire ai nostri giorni, ci limitiamo a citare il più influente filosofo conservatore contemporaneo, il britannico Roger Scruton che da tempo sostiene come i Paesi europei siano governati da classi politiche incolte e inconsapevoli del destino delle nazioni che guidano e si nascondono dietro “gli usci sbarrati delle istituzioni europee” dalle quali promanano direttive demenziali volte a travolgere l’anima di una comunità vasta di nazioni e popoli fino a sfibrarla. L’ambientalismo – sostiene – è il fiore all’occhiello del “politicamente corretto” utilizzato da chi non vuol vedere la realtà per quello che è. Esso si collega al processo di degenerazione denunciato per altri aspetti della nostra contemporaneità. E senza mezzi termini afferma: “L’ambientalismo è la quintessenza della causa conservatrice, l’esempio più vivo nel mondo, così come lo conosciamo, di quel partenariato fra i morti, i vivi e i non ancora nati, di cui Burke faceva l’apologia e vedeva come l’archetipo del conservatorismo”.

Questo per dire come la “causa ambientalista” sia oggi tutt’altro che divisiva. Il carattere politico dei Verdi tedeschi, ed in particolare di Annalena Baerbock, è sostanzialmente ascrivibile alla cultura dell’“et-et” piuttosto che a quella consunta fondata sull’ “aut-aut”. Nella consapevolezza che soltanto puntando sui grandi temi si possono proporre scenari perfino suggestivi, nonostante l’oggettiva drammaticità che li connota, ad una opinione pubblica frastornata dal politicamente corretto da un lato e dal politicantismo di piccolo cabotaggio dall’altro.

Se si individuano le coordinate di una nuova politica tedesca ed europea non si può non fare riferimento all’esperienza della Baerbock ed alla rinascita dei Verdi come movimento di congiunzione tra mondi che sembravano lontani, ma che nelle urne e, ovviamente, nella sensibilità comune, sono più vicini di quanto si possa immaginare.

(dal quotidiano Il Dubbio diretto da Carlo Fusi)

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