Il senatore Dario Franceschini, 67 anni da compiere in ottobre, il politico forse, dopo Giulio Andreotti, più prestato o a mezzadria con la letteratura, non a caso più volte ministro della Cultura, segretario del Pd per nove mesi, tra febbraio e novembre del 2009, giusto in tempo per partorire la segreteria di Enrico Letta, entrambi provenienti dalla scuola e dalla cultura democristiana; Dario Franceschini, dicevo, è inconsapevole vittima di uno dei brocardi latini più noti dopo quello forse dalla “lex, sed dura lex”.
Il brocardo galeotto di o per Franceschini, per quanto lui prudentemente abbia evitato di richiamarvisi, da buon politico, è quello della “mater semper certa, pater incertus”. Un brocardo col quale hanno scherzato nelle Università generazioni di studenti di giurisprudenza dicendo che in fondo, a prendere quella massima alla lettera, potremmo sentirci un po’ tutti “figli di mignotta”, dicono a Roma. Pur con tutto il doveroso e rispettoso affetto, naturalmente, per le nostre mamme.
Franceschini, non so esattamente dove lavorando di più fra casa, Senato e l’officina, all’Esquilino, che egli ha trasformato in ufficio, spero col rispetto di tutti i regolamenti comunali e simili, ha motivato come un eccesso riparatore di un altro la sua proposta di assegnare d’ufficio al figlio il cognome della madre. Dopo tanto tempo in cui lo si è assegnato al padre nella solita concezione patriarcale della famiglia.
Nonostante questa precauzione logica e- ripeto- politica, Franceschini ha raccolto reazioni più scettiche, o negative, che compiaciute alla proposta formulata in una riunione del gruppo senatoriale del Pd. Dove si è preferito occuparsi di questo problema, pur per contingenze legittime, piuttosto che di altri magari più attuali, diciamo così, e difficili per le diverse opinioni esistenti al Nazareno: i problemi, per esempio, di politica estera. Di fronte ai quali l’ex senatore, sempre del Pd, Luigi Zanda avvertendo una certa incertezza o confusione, a dir poco, della linea perseguita dalla segretaria del partito Elly Schlein, non a caso disattesa da 10 dei 21 eurodeputati piddini in una recente e impegnativa votazione; Luigi Zanda, dicevo, ha proposto il ricorso ad un congresso anticipato e straordinario., anche a costo di provocare una crisi della segreteria. Tentazione, questa, dalla quale ad un certo punto è sembrata presa la stessa Schlein, con aria di sfida, sino a quando i soliti esperti statutari non si sono accorti -e non le hanno fatto notare- che un congresso straordinario comporta le dimissioni del segretario di turno e l’elezione di un altro di cosiddetta garanzia.
Al di là dei suoi racconti o delle sue visioni più o meno romanzate per rimanere nel campo letterario praticato da Franceschini con buoni risultati nelle librerie, la politica è fatta anche di questi accidenti. Fra i quali, ripeto, la proposta del cognome d’ufficio alla madre di ogni neonato a rischio di barzellette per quel maledetto – o benedetto, secondo i gusti- brocardo latino già ricordato della “mater semper certa, pater incertus”.