skip to Main Content

Draghi

A fari spenti nella notte: la candidatura silente di Draghi alla presidenza della Repubblica

Che cosa ha fatto e farà Draghi. L'analisi di Maria Cristina Antonucci, docente di Comunicazione e Politica presso l'Università La Sapienza di Roma

 

Uno dei segreti meglio conservati della vita istituzionale in questi giorni è il lavorìo costante e sotto traccia per la definizione politica della candidatura di Draghi alla Presidenza della Repubblica.

Il segreto è al tempo stesso ben custodito verso l’opinione pubblica, spesso distratta da ipotesi fantasiose dei quirinalisti mainstream (dai pochi voti mancanti a Berlusconi nel Parlamento in seduta comune, alla possibilità che Mattarella accetti la richiesta di alcuni partiti di restare per un mandato a termine) e una ipotesi molto accreditata presso il sistema delle istituzioni.

Da tempo – almeno da quando Draghi ha accettato su richiesta del Presidente Mattarella, l’incarico per formare un governo di natura tecnica e con un mandato molto chiaro (campagna di vaccinazione e capacità di impegno dei fondi del Pnrr) con il supporto di quasi tutti i partiti rappresentati in Parlamento – nel sistema istituzionale c’è chi, conoscendo il prezzo del sacrificio dell’ex Governatore della Bce, studia le modalità per organizzare la staffetta tra Mattarella e Draghi. Segmenti di staff di Palazzo Chigi si dedicano a questo tipo di lavoro di raccordo con il Parlamento per assicurare questa complessa missione politica.

La moral suasion sui gruppi parlamentari, per quanto essi ancora possano costituire una cinghia di trasmissione in un Parlamento spesso depauperato delle proprie prerogative proprio dal Governo Draghi (28 questioni di fiducia poste in 10 mesi, legge di bilancio giunta in Parlamento il 16 di novembre, maxiemendamenti governativi presentati alla suddetta legge nel corso dell’esame parlamentare) è in corso, come il lavoro costante e certosino sulla stampa, chiamata ed esprimere apprezzamento per il governo dei migliori mediante il costante confronto e riferimento con “le situazioni Covid” di altri stati.

Intanto la strategia comunicativa di Draghi è mutata nella direzione di un prudente silenzio, dopo conferenze stampa del Presidente del Consiglio in cui si è rischiato l’incidente diplomatico (con la Turchia, ad inizio aprile), in cui sono state fornite indicazioni rivelatesi poi non complete o non provate sul green pass (conferenze stampa del 22 luglio e del 25 novembre, rispettivamente sulla trasformazione del green pass Ue da dispositivo per la sicurezza dei viaggi intra-UE a lasciapassare per la vita sociale, lavorativa e del “supergreen pass”, con l’auspicio che i non vaccinati “possano tornare a essere parte della società con tutti noi”). In questa fase nuova e di preparazione all’agognato trasloco al Colle più alto, termina il confronto con la stampa, anche in ragione di queste difficoltà nelle  performance comunicative precedenti, e Draghi parla solo mediante lo strumento della comunicazione istituzionale, predisposta ad hoc e ripresa successivamente sui social della PdCM. Nessuna conferenza stampa dopo il Consiglio dei Ministri del 14 dicembre, in cui è pure è stato approvato un provvedimento inedito, come il prolungamento dello stato di emergenza al 31 marzo 2022, Draghi si riserva un’ultima occasione di confronto con la stampa (“di fine anno”) organizzato dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti in collaborazione con l’Associazione della Stampa parlamentare il 22 dicembre alle ore 10,30.

Una occasione pubblica, in cui il Draghi quirinabile potrebbe emergere dal suo percorso a fari spenti verso il colle più alto, pur nella irritualità istituzionale della sua posizione per questa candidatura. Tutti i Presidenti della Repubblica che hanno ricoperto il ruolo dopo essere stati Presidenti del Consiglio (Segni, Leone, Cossiga e Ciampi) non hanno “traslocato” direttamente da una sede istituzionale all’altra, vedendo passare sempre degli anni di tempo per il passaggio tra Chigi e Quirinale. Inoltre, nell’unico caso di figura apartitica al Quirinale (Ciampi), non si trattava di un tecnico puro, come Draghi (al vertice di una istituzione tecnica europea, come la Bce dotata di ben altra logica di funzionamento), ma di un ex Presidente del Consiglio con al suo attivo esperienze istituzionali e un certo grado negoziale con i partiti politici, acquisito nelle esperienze al Tesoro. Una serie di circostanze che dovrebbero avviare una riflessione ponderata tra le forze politiche e sociali sull’opportunità che il processo sotto traccia che si sta svolgendo sia il più opportuno per il sistema paese, anche nell’ottica di un mandato presidenziale lungo come il settennato.

 

Back To Top