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Diritto all’oblio. Microsoft e Yahoo si adeguano

Microsoft e Yahoo! hanno deciso di seguire Google con l’eliminazione dei risultati di ricerca recependo la sentenza della Corte Europea sul “Diritto all’oblio”

 

La sentenza del 14 maggio stabiliva che i cittadini europei avevano il diritto di richiedere ai motori di ricerca online di eliminare tutti quelle informazioni ritenute “non adatte, irrilevanti o non più rilevanti”, disponendo che nel caso in cui la società risultasse inadempiente il cittadino ha il diritto di ricorrere alle autorità competenti per la rimozione.

All’origine del giudizio della Corte vi era il ricorso al Garante della Privacy Spagnola di Mario Costeja Gonzales che sosteneva di avere diritto di far rimuovere i risultati indicizzati da Google a suo nome poiché lesivi della sua privacy. Le ricerche conducevano a link di giornali di 16 anni fa che davano notizia della messa all’asta della sua abitazione per motivi economici, riportando una condizione, ormai risolta, che non corrispondeva più a quella attuale.

Google e Bing hanno messo a disposizione sin dall’estate un modulo in cui è possibile da parte degli utenti richiedere la rimozione dei collegamenti, permettendo di far valere il proprio “Diritto all’oblio”. Google ha per ora ricevuto più di 174.000 richieste riguardanti più di 602.000 collegamenti. La società ha dichiarato di aver realizzato la rimozione del 41,5% dei link. Bing e Yahoo! non hanno ancora reso pubblici i dati.

 

Il servizio Google resta però limitato alle edizioni europee, se infatti un utente dovesse effettuare la ricerca sul servizio .com i dati potrebbero riapparire.

Tuttavia tra le richieste inoltrate dagli utenti rientrano pure questioni riguardanti l’eliminazione di notizie riguardanti tematiche sensibili per la pubblica sicurezza come ad esempio omicidio, abuso di droghe, spionaggio, furto e altri reati.

 

Il ministro della cultura inglese Sajid Javid ha dichiarato che le richieste di rimozione hanno coinvolto anche personalità legate al mondo del terrorismo – impegnati a utilizzare  gli strumenti a tutela della privacy messi a disposizione dalla sentenza della Corte per rimuovere i link in cui erano menzionati i loro nomi – attaccando la tutela del Diritto all’oblio.

 

L’anno scorso, per motivi differenti, la fondazione che gestisce Wikipedia aveva espresso il proprio disappunto sul tema respingendo l’orientamento come un atto di censura, concetto poi ribadito da Jimmy Wales attraverso il concetto di “Diritto di ricordare”.

 

Intanto il gruppo di lavoro dell’Articolo 29 facente capo all’Autorità per la protezione dei dati dell’Unione Europea, ha diffuso un documento contenenti le linee guida che i motori di ricerca devono seguire per non ledere il Diritto all’oblio, invitando all’attenzione e valutando correttamente “se l’interesse pubblico è superiore ai diritti del singolo utente, la rimozione dei link non è appropriata”.

 

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