Cosa resterà di questi anni Dieci? Il risveglio della storia, la crisi epocale della politica, una rivoluzione industriale? Qualunque sia la lente con cui si interpreti la vicenda degli ultimi dieci anni, difficilmente si potrà derubricare la decade appena trascorsa a una passeggiata domenicale.
Limitandoci a interpretare il nostro ruolo di gestori del risparmio, tra le molte eredità delle decade, ciò che non possiamo fare a meno di notare sono i 10.000 miliardi di liquidità che sono apparsi nei forzieri delle banche e, in parte nell’economia reale, attraverso l’azione delle banche centrali.
La bonanza monetaria è senza dubbio la caratteristica distintiva dei mercati finanziari della nostra epoca. La preminenza della moneta, in questa fase, è come ossigeno per una società che sta cercando in ogni modo di immaginare nuovamente se stessa. Nella liquidità l’Occidente affoga la delusione per un futuro che, improvvisamente, si prospetta più insicuro di quello immaginato.
L’EREDITA’ DI DRAGHI
Se quella che si sta concludendo è la “decade liquida”, l’uomo della pioggia è Mario Draghi che proprio a ottobre presiederà per l’ultima volta il Consiglio Direttivo della Bce. La politica monetaria ha saputo reinventarsi in questi anni e Draghi, con la sua azione di ampio respiro e l’intelligente mediazione che ne ha protetto l’indipendenza, ha senz’altro contribuito a innovare le pratiche e gli strumenti a disposizione dell’Istituto.
Il grafico rappresenta la relazione tra le aspettative rispetto al livello del tasso di riferimento, strumento primario di politica monetaria della Federal Reserve, e il livello effettivo del tasso (in giallo). Come si può notare le previsioni degli operatori stanno divergendo rispetto al livello attuale, il che potrebbe suggerire un ulteriore prossimo taglio del tasso di riferimento come risposta a un peggioramento del quadro economico.
Ed ecco che gli eventi prendono una piega inaspettata fino a un anno fa: gli anni Venti inizieranno con un nuovo programma di stimoli monetari (quantitative easing) e di prestiti al sistema bancario. I tassi restano negativi (tanto che alcuni istituti bancari hanno cominciato e cominceranno ad applicare i tassi sui conti correnti). Il nuovo ciclo di espansione monetaria comincia ancor prima che si sia chiuso il ciclo precedente e senza che l’inflazione abbia dato segni di vitalità per oltre un decennio.
E’ presto per dire se la situazione attuale del sistema economico (tassi bassi, liquidità abbondante, inflazione e crescita moderata) sia la nuova normalità, ma bisogna notare che in una società che non riesce più ad avere fiducia nella propria capacità di crescere nel medio-lungo termine, la politica monetaria non può smettere di innovare e ridefinire il proprio scopo (dotandosi di strumenti in grado di garantire maggiore incisività) se desidera restare efficace.
Draghi ha addirittura lasciato intendere che il dibattito su forme non convenzionali di politica, come il trasferimento dei contanti direttamente ai cittadini (helicopter money), sia arrivato ai piani più alti della Bce. In questi dieci anni la politica monetaria si è reinventata, affermando prepotentemente la sua autorità. Questa innovazione è stata però dettata dalla decrescente efficacia degli strumenti tradizionali. Crediamo che il percorso di innovazione non possa che continuare se le banche centrali vogliono continuare a mantenere la propria capacità di assolvere al proprio mandato.
SOTTO LA SUPERFICIE
Negli Stati Uniti, per esempio, solo un anno fa si immaginava un percorso di rialzo dei tassi, oggi si discute addirittura della riapertura del programma di quantitative easing. Lo spunto per riaprire il dibattito lo hanno dato quegli attriti nel mercato monetario che abbiamo sentito alla fine di settembre.
In poche ore si è registrato un improvviso aumento del costo di finanziamento sul cosiddetto mercato dei “pronti contro termine”. Si tratta di un canale che permette, a controparti prevalentemente finanziarie, di prendere a prestito per brevissimo tempo (solitamente un giorno) le somme di denaro necessarie a garantire il funzionamento del sistema finanziario. Di norma, il tasso di questi prestiti si muove nell’intervallo di valori stabilito dalla Fed, ma a settembre è schizzato alle stelle, tanto che alcune clearing house (gli enti che regolano queste transizioni) hanno riportato un salto tra il 2% e il 9%.
Sembra che la ragione sia da ricercarsi in un improvviso drenaggio di liquidità dovuto al Tax Day per le società americane. La dinamica stagionale è stata acuita dal fatto che la Fed, nell’ultimo anno e mezzo, ha iniziato il programma di disinvestimento dei titoli di stato comprati tramite i programmi di quantitative easing Questo ha ovviamente ridotto l’ammontare di riserve (liquidità) bancarie disponibili per questo tipi di prestiti, e così l’eccesso di domanda ha portato in alto i tassi.
La Fed è prontamente intervenuta per calmare le acque, ma questo non ha impedito agli operatori di correre con la mente alla Grande Crisi Finanziaria. Il timore più grande è che la banca centrale possa perdere il controllo della politica monetaria.
La questione, più che per i risvolti di breve termine, è significativa se inserita in un contesto di medio termine. I mercati si sono ormai tarati per funzionare con un livello di liquidità e con un supporto monetario maggiore rispetto al passato? Sembra che questa sia la direzione, tuttavia appare chiaro come la politica monetaria continuerà a essere la stella tra gli attori che ballano sul palco dei mercati finanziari.
ECONOMIA IN RALLENTAMENTO
Negli ultimi mesi abbiamo sottolineato come la convinzione che l’economia americana sia in uno stato migliore del resto del mondo stia reggendo le sorti dei listini azionari globali. Ogni volta che emergono degli elementi che mettono in dubbio questa narrativa, come ad inizio mese, le ripercussioni si sentono su tutti i mercati su tutte le geografie. La più recente campana l’ha fatta suonare Manufacturing Index dell’Institute of Supply Management (ISM), che registra l’entità dell’attività manifatturiera in USA, ha segnato il minor valore dal 2009, quando l’economia stava uscendo dalla crisi, e segnando una delle peggiori sorprese (-2.2) rispetto alle attese degli ultimi anni.
Questo ha generato un nuovo incremento della volatilità, che comunque ormai si assestando attorno a livelli in media più alti che negli anni precedenti. Il numero sull’attività manifatturiera, per quanto non da sottovalutare, per ora rientra nella logica di rallentamento dell’attività economica a livello globale che probabilmente ha radici nel raffreddamento del commercio globale. I flussi commerciali per quest’anno probabilmente cresceranno al tasso più basso dalla grande crisi finanziaria. I dati sul mercato del lavoro per il mese di settembre hanno infine in parte migliorato le prospettive di breve termine, con dati misti ma in ogni caso tutt’altro che catastrofici.
Il grafico rappresenta la relazione tra le aspettative rispetto al livello del tasso di riferimento, strumento primario di politica monetaria della Federal Reserve, e il livello effettivo del tasso (in giallo). Come si può notare le previsioni degli operatori stanno divergendo rispetto al livello attuale, il che potrebbe suggerire un ulteriore prossimo taglio del tasso di riferimento come risposta a un peggioramento del quadro economico.
JOHNSON CONTRO TUTTI
Per quanto riguarda i temi politici, vale la pena spendere due parole sulla Brexit. La data fatidica sarà il 31 ottobre anche se probabilmente il Regno Unito chiederà all’Unione Europea un’ulteriore proroga dei termini.
In caso di rinvio, si andrebbe alle elezioni con quattro forze in campo: il Brexit Party che vuole uscire dall’Ue al più presto e senza nessun accordo, i conservatori di Johnson che sostengono la Brexit a ogni costo (con o senza accordo), i Laburisti che vorrebbero indire un nuovo referendum entro sei mesi, e i liberaldemocratici che, con i verdi, vorrebbero proprio cancellare la Brexit.
Il rischio è che le elezioni, rese imprevedibili dal sistema elettorale, non spazzino via l’incertezza e che lo stallo e la crisi costituzionale profondissima in cui il Paese si trova da un anno possa perdurare nei prossimi mesi. L’esposizione di Moneyfarm sul Regno Unito è relativamente contenuta, e riteniamo che l’ipotesi più rischiosa per gli investimenti, quella di hard Brexit, sia poco probabile nel breve termine; tuttavia crediamo che la situazione mantenga un certo livello di imprevedibilità e vada quindi monitorata.
Il sistema politico britannico è da sempre noto per la predominanza di due partiti principali (bipolarismo). Come si può notare dall’andamento dei sondaggi, la crisi politica causata dalla Brexit ha determinato la frammentazione del quadro politico che contribuisce ad aumentare l’incertezza rispetto alla posizione che il Paese potrebbe prendere riguardo all’uscita dall’UE in caso di nuove elezioni.
POSIZIONAMENTO DEI PORTAFOGLI
Lo scenario macro-economico globale, seppure nel complesso deludente, lascia intravedere qualche segnale di ripresa. Le curve dei rendimenti si stanno normalizzando grazie a lievi rimbalzi degli yield sulle scadenze più lunghe. La spesa pubblica accelera in Europa, Cina e Stati Uniti e, nonostante gli stimoli sui vari fronti, l’inflazione continua a non essere un problema.
Rimangono sul piatto i soliti fattori di rischio: Brexit, tensioni commerciali tra Cina e Stati Uniti e attriti tra Arabia Saudita e Iran nel Golfo. Il mercato sembra abbia incorporato almeno parzialmente eventuali scenari negativi su questi fronti e potrebbe entrare in una fase di consolidamento, salvo sorprese inaspettate.
I mercati azionari hanno continuato a crescere. Il terzo trimestre si era infatti chiuso con performance positive per la maggior parte dei paesi sviluppati: l’S&P500 è salito dell’1,7%, l’EuroStoxx del 2,5%, il Topix del 3,3% e il FTSE100 dello 0,9%. Anche l’obbligazionario ha vissuto un trimestre decisamente favorevole, in particolar modo ad agosto nel momento di maggiore volatilità dei mercati azionari. Nello specifico i bond con scadenze più lunghe hanno sovraperformato le obbligazioni a breve termine, come solitamente accade quando le curve dei tassi si stanno invertendo (o sono già invertite). Anche in questo trimestre, la correlazione tra bond e azioni rimane negativa, e così crediamo resterà ancora per qualche tempo.
A settembre abbiamo aumentato la duration della componente obbligazionaria per cercare nuove fonti di diversificazione. Come risultato delle scelte degli ultimi mesi il nostro posizionamento resta cauto.