A oltre un anno e mezzo dall’entrata in vigore in Italia della direttiva europea Mifid2 sulla tutela degli investitori, le informazioni sui costi dei servizi di investimento e sui prodotti finanziari sono spesso fornite in modo incompleto, con modalità non formalizzate e senza indicarne l’impatto sui rendimenti degli strumenti finanziari in portafoglio.
La mancata aderenza delle informazioni trasmesse dagli intermediari italiani agli schemi previsti dalle regole europee riduce la trasparenza e la confrontabilità delle condizioni economiche applicate ai clienti dei servizi di investimento e ne impedisce una valutazione obiettiva.
Le lacune sono ancora più significative se si considera che l’applicazione in Italia delle regole della Mifid2 è stata fatta slittare di 12 mesi (era originariamente prevista a gennaio 2017) proprio per consentire a tutti gli intermediari di rispettare i nuovi obblighi di trasparenza.
Sono i principali, allarmanti risultati di uno studio sull’effettivo adeguamento degli intermediari finanziari alla normativa europea a tutela dei risparmiatori introdotta in Italia il 3 gennaio 2018 dalla direttiva Mifid2. La ricerca è stata realizzata da Moneyfarm, società di investimenti online fondata nel 2011, in collaborazione con la Scuola di management del Politecnico di Milano.
COS’E’ MIFID2
Mifid2, la direttiva europea per investire consapevolmente
In vigore da gennaio 2018, prevede regole stringenti sulla trasparenza dei costi dei servizi finanziari. Nonostante i richiami europei e della Consob, gli operatori ancora svicolano
ANALIZZATI I 20 BIG DEL SETTORE
La prima parte della ricerca, resa nota sinora, ha analizzato in particolare la comunicazione dei costi e degli oneri del servizio d’investimento in base alle informative ex ante prodotte da 20 fra i più importanti intermediari finanziari operanti in Italia:
Allianz Bank Financial Advisors,
Azimut Capital Management,
Banco Bpm e Banca Aletti del gruppo Banco Bpm,
Bnl e Bnp Paribas – Life Banker del gruppo Bnp Paribas,
Bper Banca,
Credito Emiliano,
Deutsche Bank,
Fineco Bank,
Banca Generali Private,
Fideuram e Intesa San Paolo private banking del gruppo Intesa Sanpaolo,
Banca Widiba del gruppo Mps,
Ing Bank,
CheBanca! del gruppo Mediobanca,
Banca Mediolanum,
IW Bank del gruppo Ubi,
Unicredit
Unipol Banca.
RISULTATI SCONFORTANTI
I risultati della ricerca sono sconfortanti: nonostante il recepimento delle norme della direttiva europea sia stato posticipata di 12 mesi per consentire a tutti gli intermediari di prepararsi adeguatamente all’adempimento dei nuovi obblighi di trasparenza (l’avvio infatti era originariamente previsto da gennaio 2017), solo il 25% delle aziende di consulenza finanziaria ha una conformità totale alla tabella 1 della direttiva Mifid 2 per quanto riguarda la comunicazione e informativa ex ante dei costi e degli oneri dei servizi di investimento. Un altro 25% non ha alcuna conformità alle richieste della Mifid2. Del restante 50%, una metà (25%) ha una conformità pari ad appena il 20% delle regole Mifid2. Le risposte del campione sono state trattate in forma anonima.
(Articolo pubblicato su Valori.it)