L’annuncio dello US Army è arrivato a sorpresa; giustamente si potrebbe dire, per ovvie ragioni di segretezza. L’11 aprile scorso — ma la conferma ufficiale è arrivata solo qualche giorno più tardi — l’Esercito Americano ha rischierato nelle Filippine alcuni elementi del suo nuovo sistema missilistico noto come Typhon, facendo ricorso a un volo effettuato con un aereo da trasporto strategico C-17 Globamaster III direttamente dagli Stati Uniti.
L’occasione per questo schieramento è rappresentata dalla esercitazione bilaterale Salaknib 2024 (ma che quest’anno vedrà la partecipazione anche della Francia); esercitazione che peraltro giunge in un momento di forte tensione tra Manila e Pechino da una parte e, dall’altra, in uno di rinsaldamento dei rapporti tra gli Usa e le Filippine. Ecco dunque che questa stessa esercitazione e, più in particolare, l’arrivo del Typhon finiscono con il rappresentare una sorta di “sfida” alla Cina.
E il perché è preso detto: così come le altre Forze armate americane, e al netto delle attuali crisi in atto, cioè Ucraina e Medio Oriente, anche lo US Army sta continuando a perseguire piani di ammodernamento e sviluppo incentrati sul contrasto di quello che viene considerato il vero “competitor strategico” (espressione molto educata, che in realtà va letta come “nemico numero 1”) di Washington: la Repubblica Popolare Cinese. E tra le capacità operative più ricercate per rispondere alle specifiche caratteristiche del teatro operativo dell’Indo-Pacifico, quelle nel campo dei missili sono sicuramente (molto) al centro dell’attenzione.
Da qui la scelta dell’Esercito americano stesso di sviluppare sistemi diversi con caratteristiche differenti in termini di gittata, velocità e profili di volo; a partire dalla introduzione in servizio del “Precision Strike Missile” (PrSM), destinato a sostituire gli attuali Atacms lanciati dai lanciarazzi multipli del tipo Mlrs e Himars. Questo nuovo ordigno, sempre balistico sarà caratterizzato da una portata maggiore rispetto agli Atacms stessi, dato che potrà raggiungere i 500 km; con la prospettiva di poterla anche estendere in futuro.
Per soddisfare invece le esigenze operative legate al poter colpire obiettivi più lontani (e con maggiore rapidità) sempre lo US Army ha iniziato lo sviluppo del “Long Range Hypersonic Weapon” (LRHW) o “Dark Eagle”; come spiega il nome stesso, qui si entra nel campo delle armi ipersoniche e a lungo raggio. Nel caso specifico, si ipotizza che il LHRW avrà una gittata di quasi 3.000 km e potrebbe essere in grado di raggiungere Mach 17 in termini di velocità.
Diventa dunque evidente che rimaneva una sorta di “buco” da coprire; la fascia cioè compresa tra i 500 km circa del PrSM e i 3.000 sempre circa del LRHW. Una esigenza operativa subito ben compresa dallo US Army che infatti ha rapidamente fatto partire il programma “Mid-Range Capability” (MRC). Che dopo una fase di gestazione tutto sommato rapida, ha visto il raggiungimento di un traguardo importante nel novembre del 2020, quando cioè è arrivata la scelta della Lochkeed Martin quale responsabile dello sviluppo e della produzione di quello che poi è diventato l’attuale sistema Typhon.
COSA È IL TYPHON NEL DETTAGLIO
Un sistema dalle caratteristiche decisamente particolari, per tutta una serie di motivi. Prima di tutto, per la sua configurazione. Ogni batteria Typhon è infatti composta da 4 trattori più relativi rimorchi che ospitano quelli che all’apparenza sembrano normali container; in realtà, questi container ospitano un lanciatore a 4 celle, con altrettanti missili, che per il lancio viene eretto in posizione verticale. Accanto a questi mezzi, è presente un altro complesso trattore e rimorchio che però ospita quel “Battery Operations Center” (BOC) che svolge la funzione di comando e controllo della batteria stessa. Il BOC è collegato con tutti i network di comunicazione e scambio dei dati dell’Esercito e della Difesa americani, ricevendo da questi le informazioni necessarie per l’eventuale lancio di missili.
Completano la batteria una serie di rimorchi che trasportano le ricariche di missili (tutti questi rimorchi si prevede che saranno mossi da motrici “Heavy Expanded Mobility Tactical Truck” o HEMTT del tipo M983A4) e alcuni velivoli di supporto montati su HMMWV (o Humvee). È quindi evidente che per l’eventuale rischieramento per via aerea di una batteria completa sono necessari più voli da parte di velivoli da trasporto; l’arrivo invece di un solo aereo nelle Filippine conferma perciò che si tratta di un qualcosa di parziale ma, come evidenziato poco sopra, comunque significativo per mandare un messaggio chiaro a Pechino.
I MISSILI DEL TYPHON
Ma la vera caratteristica distintiva del Typhon è un’altra: la capacità cioè di lanciare 2 missili diversi. Il primo è il ben noto Tomahawk, un’arma in uso dagli anni 80 ma continuamente aggiornata in tutti in questi anni; tanto che nelle ultime versioni è in grado di raggiungere portate di 2.000 km, garantendo al tempo stesso la capacità di colpire navi (versione Block Va) o bersagli a terra anche pesantemente protetti (Block Vb).
Il secondo missile utilizzato è addirittura definibile come un ordigno “anomalo”, nel senso che si tratta dello Standard Missile-6 o SM-6; esso nasce infatti come arma superficie-aria destinata alla difesa aerea e anche missilistica a lungo raggio per le unità della US Navy, garantendo però una secondaria capacità superficie-superficie. Ed è proprio questa la caratteristica che ha attirato l’attenzione dello US Army, al punto di sceglierlo per armare il Typhon. A oggi, si stima che lo SM-6 (che è un missile balistico, a differenza del Tomahawk che è invece “cruise”; elemento quindi che conferisce ulteriore polivalenza al Typhon stesso) abbia una gittata di meno di 500 km ma è in fase di sviluppo la versione Block 1B che dovrebbe raggiungere i 1.000 km e con velocità ipersoniche.
LE “MULTI-DOMAIN TASK FORCE”
Ma gli aspetti interessanti non finiscono qui; le prime batterie Typhon che entreranno in servizio saranno infatti tutte assegnate alle 5 “Multi-Domain Task Force” (MDTF) che lo US Army ha creato e sta creando per rispondere alle particolari sfide poste dalla evoluzione dei moderni scenari operativi. Come dice infatti la definizione stessa, esse saranno per l’appunto “Task Force” da intendersi come dispositivi flessibili e agili; queste, a loro volta, dovranno poi saper operare in una ottica “Multi-Domain”, cioè in tutti gli attuali domini operativi (terra, mare, cielo, spazio e cyber).
E perno centrale di queste MTDF (3 delle quali saranno dispiegate proprio nella regione dell’Indo-pacifico) è e sarà lo “Strategic Fires Battalion”. Un Battaglione cioè composto da 3 diverse batterie: una che utilizzerà i missili ipersonici “Dark Eagle”, una (per l’appunto) batteria Typhon e, infine, un’altra dotata degli Himars con i relativi dei PrSM. Una potenza di fuoco dunque impressionante, capace di colpire obbiettivi terrestri e navali, anche in profondità nel territorio nemico, con tempi di reazione ed esecuzione ristretti e che sarà supportata di potenti strumenti di “Intelligence, Reconnaissance and Surveillance” (ISR) nonché di guerra elettronica, cyber e spaziale.
E, di nuovo, potenzialmente una vera “spina nel fianco” della Cina; una delle tante che gli Usa e i loro alleati nella regione stanno allestendo, allo scopo di contenere Pechino. Vista sempre più da tutti come una minaccia alla stabilità dello stesso Indo-Pacifico; e forse anche oltre…