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Hong Kong, c’è la Cina dietro l’attacco a Telegram?

Telegram ha indicato nella Cina l'origine del cyber-attacco di mercoledì. L'app di messaggistica crittografata è molto diffusa tra i manifestanti che protestano a Hong Kong

Non è una coincidenza per il numero uno di Telegram. Mercoledì l’app di messaggistica istantanea ha subìto un pesante attacco DDoS (denial-of-service) proveniente dalla Cina provocando interruzioni al servizio. L’attacco all’app di Telegram ha rallentato la connettività ma non ha compromesso i dati degli utenti. Proprio in quei giorni erano in corso proteste a Hong Kong e i manifestanti hanno usato Telegram per comunicare e organizzare le contestazioni.

L’ACCUSA DI DUROV

Ieri Pavel Durov, fondatore e ceo di Telegram, ha rivelato i dettagli dell’attacco. Durov ha spiegato che le dimensioni delle richieste di posta indesiderata erano coerenti con un attore statale. L’origine era prevalentemente cinese e il momento coincideva con le proteste a Hong Kong. L’attacco ha rallentato la connettività ma non ha compromesso i dati degli utenti.

L’APP STRUMENTO DEI MANIFESTANTI

A causa del Great Firewall, il sistema di controlli Internet cinese, che vieta e censura gran parte di siti web, molte app occidentali, tra cui Facebook, Google search e WhatsApp, non funzionano nel paese del Dragone. Questo non vale a Hong Kong, in base al principio “un paese, due sistemi”, istituito per tutelare i diritti civili quando la sovranità del paese è stata ceduta dal Regno Unito alla Cina nel 1997.

Proprio Telegram è stato uno degli strumenti principali che i manifestanti di Hong Kong hanno usato per comunicare e mobilitarsi.

I MOTIVI DELLA PROTESTA

Mercoledì i manifestanti di Hong Kong sono scesi in piazza contro la legislazione che avrebbe permesso per la prima volta l’estradizione dei fuggitivi da Hong Kong alla Cina continentale.

Il governo di Hong Kong afferma che la proposta di legge è necessaria per colmare una scappatoia legale che consente ad Hong Kong di essere potenzialmente utilizzata come rifugio per i criminali latitanti. Ma gli oppositori temono che permetterà alla Cina di estradare qualsiasi oppositore politico.

NON È LA PRIMA VOLTA

Non è la prima volta che Telegram viene colpito da un sospetto attacco DDoS proveniente dalla Cina. Nel 2015, l’azienda ha subito un attacco proprio mentre la Cina si apprestava a calare la scure sugli avvocati per i diritti umani. Secondo il quotidiano statale China Daily, gli avvocati incriminati avrebbero usato l’app Telegram per pianificare “attacchi al Partito e al governo“.

TELEGRAM PIÙ SICURA DI WECHAT MA MENO DI WHATSAPP

Gli attivisti di Hong Kong e della Cina continentale usano spesso Telegram per organizzare proteste nella speranza che la crittografia consenta loro di eludere la sorveglianza governativa delle app cinesi di social networking come WeChat. Questa settimana gli utenti di WeChat hanno riferito infatti che le foto delle proteste non potevano essere visualizzate. App come Telegram offrono maggiore privacy e indipendenza. Tuttavia Telegram non è così “sicura” come i manifestanti ritengono. A differenza di WhatsApp e iMessage, i messaggi su Telegram non sono crittografati end-to-end per impostazione predefinita ma l’utente deve selezionarla appositamente.

LA REPLICA DI PECHINO

Nel frattempo, anche il governo di Pechino ha detto la sua sul caso. Alla domanda sull’attacco subito da Telegram in un briefing quotidiano, Geng Shuang, portavoce del ministero degli Esteri cinese, ha detto di non essere a conoscenza del caso ma ha sottolineato che “la Cina si oppone sempre a qualsiasi forma di attacco informatico”. D’altronde “anche la Cina è vittima di attacchi informatici”, ha rimarcato Geng.

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