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Tanatologia Digitale

La breccia della tanatologia digitale su Internet

La tanatologia digitale è la rappresentazione della morte discussa in Internet. Ma non solo. L'analisi di Fiorella Mandaglio, esperta di informatica giuridica e crimini informatici

La Vita Eterna e l’Eterna Giovinezza sono grandi utopie a cui l’umanità da sempre aspira.

Questi temi fanno discutere scienziati, filosofi e religiosi che propongono parziali ed ondivaghi punti di vista su “come” possa essere possibile superare la demonizzazione della morte oppure su come si possa giungere alla definitiva rimozione dell’inesorabile passare del tempo che alla morte conduce.

Molta filmografia ha ripreso e proposto il concetto dell’immortalità “destrutturato” – epurato da qualsiasi consenso o tabù – e spesso veicolato al pubblico con trame di carattere fantascientifico o magico, come accade nella saga del noto maghetto, nato dal genio della scrittrice J.K. Rowling, la cui storia ruota attorno alla caparbia “sopravvivenza” ed all’immortalità del perfido Lord Voldemort oppure in film – carichi di distopia e maggiormente impegnativi per lo spettatore – che rappresentano, fino all’estremo negativo, un’espressione sociale di “eternità” raggiunta per mezzo dell’Intelligenza Artificiale.

Ed oggi, proprio l’Intelligenza Artificiale diventa la protagonista di ricerche universitarie (a cui seguono, immancabilmente, rappresentazioni letterarie e cinematografiche) con le quali vengono approfondite e definite le possibili interazioni tecnologiche con tutto ciò che resta dell’uomo, ovvero il suo “cogito” oppure – esagerando l’espressione – il suo “animus immortalis post mortem”, rigorosamente ricostruito attraverso la vita online che continua inesorabilmente ad esistere, realizzando la nuova “era dell’immortalità”.

Ma le analisi e gli approfondimenti di questi temi devono essere considerati distanti dalla normale quotidianità dei più? Il rapporto tra Società Digitale e morte è realmente lontano dall’idea di continuazione della vita dopo la morte? E, infine, la più intrigante ed attuale delle questioni: Come reagisce al decesso il “Popolo della Rete”?

La Società Digitale – che vive e prospera attraverso i propri “avatar” nel “villaggio virtuale” – non si esime certo dall’utilizzare i social media come una realtà fittizia dove si concretizza la rappresentazione di noi stessi e di ciò che vorremmo essere. I Social Media diventano, sempre di più, un “luogo/non luogo” dove poter continuare ad “incontrare” virtualmente il “de cuius” che – il più delle volte senza volerlo – lascia agli “eredi” anche la sua Immortalità Digitale.

Da queste premesse trae origine il recente studio condotto dal Professor Edoardo Arena, docente di Informatica Giuridica e Diritto dell’Informatica, sul tema de “La Morte al Tempo dei Social”, in cui appare – per la prima volta – l’avvincente neologismo “Tanatologia Digitale”.

Il termine tanatologia definisce quella branca della Medicina Legale che si occupa dello studio delle cause del decesso e delle modificazioni organiche del corpo che ad esso conseguono. Ma se si accosta a Tanatologia l’aggettivo “Digitale”, nasce un nuovo punto di vista che racchiude in se diversi aspetti legati proprio alla rappresentazione dell’evento morte all’interno dei social media ed ai processi modificativi disgregativi o perpetui che si instaurano nella rete dopo l’evento morte.

Questo aspetto – che già fa parte del ciclo della vita online – è stato finora oggetto di timidi interventi normativi e giurisprudenziali che, lentamente, si muovono verso l’inquadramento e la codificazione della Tanatologia Digitale, intesa innanzitutto come la rappresentazione di “come il Popolo della Rete gestisca e tratti – in estemporanea ed inconsapevole autonomia – il tema morte gestendo le proprie emozioni, le proprie impressioni e, persino, i diritti successori del “de cuius” nel cyberspazio”, postando e ricostruendo nella rete il proprio rapporto con la morte.

Ecco allora che la Tanatologia Digitale può definirsi anche come la rappresentazione della morte – non solo espressa nei media digitali – ma, in generale, discussa in internet sotto un duplice profilo: da un lato nella rappresentazione della “morte fisica” dell’essere umano vissuta all’interno di social, blog, twitt, fakenews, dove non solo le parole ma anche le immagini riportano la percezione dell’individuo virtuale in merito alla sua rappresentazione e narrazione dell’evento biologico morte; dall’altro in tutte quelle tipologie di descrizione – che si costruiscono artificialmente – per generare forme di pietismo oppure forme di odio verso l’evento stesso che il decesso fisico produce nei confronti dell’avatar, quale estensione digitale dell’uomo in rete che vengono continuamente proposte all’individuo digitale dalle comunità virtuali.

Altro aspetto afferente alla Tanatologia Digitale riguarda la “morte digitale” o “morte social” dell’individuo. Queste ultime sono determinate da quello che viene definito “suicidio digitale” della persona che si cancella dai media, senza diventare un utente anonimo che continua a navigare in incognito ma cancellando se stesso, ovvero tutti i suoi (più o meno numerosi) avatar, dal cyberspazio a causa di scelte personali derivate da accadimenti contingenti, ideologie politiche, etiche, culturali, morali oppure indotte da altri soggetti malevoli per mezzo di comportamenti provocatori, persecutori, irritanti, fastidiosi oppure mediante veri e propri illeciti penali riconducibili al cyberbullismo, al cyberstalking ed alle tipiche “aggressioni digitali” da parte degli haters.

Dalla morte fisica esorcizzata, demonizzata, consolata e divulgata in rete si passa anche all’aspetto legato all’eredità digitale degli account e di tutto il materiale digitale accumulato nei cloud e negli strumenti tecnologici, spesso protetti da password.

A questo proposito ricordiamo l’ordinanza del Tribunale di Milano con cui si obbliga la Apple a permettere l’accesso agli eredi ai contenuti archiviati del “de cuius”. Questo apre la porta ad un’attività normativa “innovativa” che regoli la gestione della memoria digitale dei Cittadini.

La breccia aperta dalla Tanatologia Digitale non può essere circoscritta ai soli dibattiti giuridici, etici e morali oppure limitata al diritto all’oblio ma deve essere estesa anche a quel processo di modificazione dei resti dell’avatar digitale, legato alla fattispecie di attività per cui vi è una sorta di “appropriazione indebita” delle pagine dei social media e della distorsione della volontà o del pensiero di “colui che fu” derivata, in particolare, dalla conoscenza intima e profonda di quella persona e dalla condivisione delle password d’accesso con la stessa.

La relazione affettiva, amicale o confidenziale consente alla memoria detenuta dagli eredi di generare una  distorsione benevola o malevola di ciò che caratterizzava realmente la vita reale e virtuale, le azioni o le consuetudini del deceduto tanto da enfatizzare particolari che, altrimenti, non sarebbero mai stati ricordati come – per esempio – accade nei famosi “racconti dell’ultimo ricordo” dove spesso si evidenziano i litigi senza la possibilità di riappacificazione prima dell’evento morte oppure l’impossibilità di un ultimo bacio prima dell’addio.

Il processo di accettazione oppure di rifiuto della morte viene cristallizzato nel digitale in uno spazio/non spazio dove l’uomo continua a vivere nel constante alternarsi di chi non accetta psicologicamente il processo ciclico della vita descritto da Mufasa al piccolo Simba nel “Re Leone”.

Sempre crescente è la spinta sociale volta ad ottenere norme certe, chiare e complete inerenti alla Successione Digitale.

Con curiosità aspettiamo di vedere come questa trasformazione della percezione sociale della morte sarà accolta nella futura attività del Legislatore.

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