“La potenza del destino è fatta dell’intero Universo”. (Alda Merini)
Chi è Roberto Pesce?
Da sempre appassionato di astronomia, è Dottore di Ricerca in Fisica, con specializzazione nella fisica astroparticellare. Dal 2003 al 2012 ha svolto ricerche sui raggi cosmici di altissima energia, collaborando con l’Università di Genova, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e il “Pierre Auger Observatory” con sede in Argentina. Ha insegnato Matematica e Fisica in diversi licei genovesi, dal 2016 è docente di ruolo e dal 2018 svolge la sua attività didattica presso il Liceo “Luigi Lanfranconi” di Genova-Voltri. Dal 2012 è docente di astronomia presso il Centro Universitario del Ponente.
Prof. Pesce, dopo l’intervista sull’infinità del Cosmo, con piacere ed interesse vorrei approfondire con Lei la notizia della scoperta – pubblicata in un numero speciale della Rivista The Astrophysical Journal Letters (edita da University of Chicago Press per la American Astronomical Society) – del “buco nero” della nostra Galassia, la Via Lattea, denominato Sagittarius A*.
La notizia ha fatto il giro del mondo attraverso le più prestigiose riviste scientifiche ma è stata divulgata come evento epocale dalla stampa e dalle TV, in ogni Paese.
Qual è l’importanza scientifica di questa scoperta, attesa da decenni?
Più che una vera e propria scoperta si tratta di un’ulteriore conferma dell’esistenza di buchi neri supermassicci al centro delle galassie. Si ritiene infatti che al centro di tutte le galassie o quasi, si trovi un enorme buco nero, della massa di milioni o addirittura miliardi di soli. L’origine di questi “mostri” celesti è ancora dibattuta: potrebbe trattarsi di un buco nero “normale” che si è ingrandito col tempo o si è fuso con altri buchi neri vicini, come del collasso gravitazionale di un particolare tipo di stella che potrebbe esistere in via teorica ma non è ancora stato osservato; potrebbe essere stato creato dal collasso di un intero ammasso stellare o ancora trattarsi di buchi neri “primordiali”, originatisi pochi istanti dopo il Big Bang.
Questi buchi neri supermassivi sono molto importanti per spiegare il funzionamento delle galassie, in particolare quelle definite “attive”, dal cui centro vengono emesse radiazioni varie.
Sagittarius A* è il secondo buco nero galattico ad essere stato “fotografato” direttamente; fino a questo momento c’erano solo delle prove indirette, anche se abbastanza solide, della sua esistenza.
Bisogna ricordare che il primo buco nero galattico, osservato nel 2019, appartiene alla galassia M87 che è una galassia attiva, dove si riteneva estremamente probabile l’esistenza di un questo tipo di oggetti. La nostra Via Lattea è invece una galassia “normale”, e non era del tutto scontato trovarvi un buco nero centrale.
Per quanto reso noto, a questo risultato si è giunti attraverso il lavoro in sinergia di circa 300 studiosi di 80 Enti di Ricerca, un impegno meticoloso e una ricerca approfondita durati 5 anni e portati a termine grazie alla collaborazione internazionale Event Horizon Telescope (EHT), che hanno permesso di immortalare la foto che ritrae il buco nero Sagittarius A* (chiamato ‘ombra’) circondato da un anello luminoso di gas brillante prodotto dalla luce distorta della gravità, che ha una massa stimata pari a 4 milioni di volte quella del Sole, posizionato al centro della Via Lattea ad una distanza compresa tra i 26 mila e i 27 mila anni luce dalla Terra.
Perché si immaginava che la nostra Galassia contenesse un buco nero come quello in realtà esistente? Quali erano gli indicatori scientifici che portavano ad una simile deduzione?
La scoperta della sorgente di onde radio Sagittarius A risale addirittura al 1933, da parte di Karl Jansky, pioniere della ricerca radioastronomica. Nel 1974 gli astronomi Balick e Brown scoprirono una componente particolarmente brillante in questa radiosorgente e a partire dagli anni ’80 gli scienziati ritennero potesse trattarsi di un buco nero, che venne poi denominata Sagittarius A* (con l’asterisco).
Nel 1994 Townes e Genzel (che vinse il Nobel nel 2020 per le ricerche sui buchi neri) ne stimarono la massa in tre milioni di masse solari. A partire dal 1995 le ricerche si concentrarono su una stella denominata S2, orbitante in circa 16 anni intorno a Sagittarius A* ad una distanza di circa 17 ore-luce (più o meno quattro volte la distanza di Nettuno dal Sole). Grazie alle osservazioni di un’intera orbita della stella, nel 2009 Genzel riportò un dato più accurato per la massa di Sagittarius A*: 4 milioni di masse solari.
Conoscendo il limite massimo delle sue dimensioni e la massa, si può calcolare la densità minima dell’oggetto, da cui si deduce che molto probabilmente si tratta di un buco nero. Sempre nel 2004 nella nostra galassia è stato scoperto un buco nero “di massa intermedia”, originato dalla fusione di più buchi neri stellari, altro indizio per l’esistenza di oggetti ancora più massicci. Nel 2012 venne identificata una nube di gas, detta G2, avente tre volte la massa della Terra, orbitante intorno alla radiosorgente. Come ciliegina sulla torta, nel 2015 è stata registrata una violenta emissione di raggi X da Sagittarius A*, possibile indicatore di una caduta di un corpo tipo asteroide all’interno del buco nero o di una interazione magnetica di G2 con Sgr A*.
Con tutti questi indizi era abbastanza certo arrivare prima o poi a individuare il ‘colpevole’, quindi.
Questo è il secondo “buco nero” di cui si viene a conoscenza: prima di Sagittarius A – tre anni fa – si scoprì l’esistenza di un analogo “buco nero” denominato “Messier 87* (M87*) distante il doppio di quello attuale, circa 55 mila anni luce dal nostro pianeta e fuori dalla nostra Galassia.
Come mai si è giunti a “fotografare” (probabilmente si tratta di un termine improprio poiché non si tratta di foto scattata con mezzi tradizionali, data la distanza e il fatto che ne sia stata “cercata” l’esistenza, non essendo visibile ad occhio nudo, né con i più potenti telescopi) Sagittarius A* “dopo” M87*, nonostante sia collocato al centro della Via Lattea (di cui facciamo parte) e più vicino metà degli anni luce che si separano dal suo “predecessore”?
Ho letto che alcuni astrofisici hanno attribuito proprio alla collocazione nella via Lattea di Sagittarius la difficoltà di immortalarlo prima di M87: esiste una spiegazione scientifica di questa deduzione? Una risposta potrebbe consistere nella massa del gas luminoso rotante: più lento ma più consistente in M87 e più veloce e difficile da tradurre in fermo immagine quello del “nostro” Sagittarius A. Ma poi c’è anche la differente collocazione: come si spiega la difficoltà di fotografare qualcosa che sta dentro la nostra Galassia e più vicino alla Terra?
In realtà la spiegazione di questo fatto risiede in due fattori: il primo è l’immagine più “ferma” a causa di una minore velocità di rotazione del gas, come da Lei correttamente affermato, il secondo è il cosiddetto “fattore di estinzione”. Tra di noi e la galassia M87, che ospita il buco nero M87*, c’è moltissima distanza ma riempita da spazio essenzialmente vuoto.
Tra di noi e il centro della Via Lattea troviamo di tutto: stelle, polveri, gas e chi più ne ha più ne metta. Pertanto è un’impresa pazzesca capire cosa c’è al centro della nostra galassia, mentre è più facile individuare un oggetto che ha le stesse “dimensioni apparenti” come M87*, ma è più favorevole alla vostra visuale. Tanto per fare un esempio, possiamo facilmente vedere una luce accesa nell’appartamento in fondo alla strada, ma non quella del nostro dirimpettaio perché attraverso i vetri delle finestre la luce passa, ma non attraverso i muri. Pertanto M87*, con il disco lumino che ruota più lentamente è decisamente più semplice da immortalare, per Sgr A* è stato necessario implementare degli algoritmi che tenessero in considerazione le distorsioni nel segnale provocate dalla rotazione più veloce e dalla presenza di polveri e gas che ostruiscono la visuale.
Ho parlato di “foto”: in realtà questo è il risultato finale immortalato e pubblicato sulle Riviste, diffuso dai media. Ma si tratta di una immagine resa nitida attraverso la penetrazione di una coltre densa e profonda di gas e polveri che non consentiva di raggiungere direttamente il buco nero e la sua ciambella rotante di gas luminosi. Come si è detto si parla di 27 mila anni luce che ci separano.
Ho letto infatti che per arrivare a fotografare Sagittarius (definito più mobile ed ‘irrequieto’ di M87) si è dovuti ricorrere ad una rete di almeno 8 radiotelescopi situati in diversi punti della Terra (tra i quali ALMA, il più potente del mondo – a cui l’Italia partecipa attraverso l’Eso (European Southern Observatory o Osservatorio Europeo Astrale) e ospita il nodo italiano del Centro regionale europeo presso l’Inaf (Istituto Nazionale di Astrofisica – Osservatorio di Astrofisica e Scienza dello Spazio) di Bologna) – attraverso una serie di algoritmi e la tecnica della interferometria: ci spiega in termini accessibili in cosa consiste questa sinergia convergente di più punti di osservazione del Cosmo? Ciò che vediamo fotografato in questo momento è distante 27 mila anni luce. Dunque, l’immagine immortala ciò che è stato – non ciò che è ora – esattamente 27 mila anni fa, viaggiando alla velocità della Luce. Però immortala ciò da cui la Luce stessa non può uscire. In tal senso come si può avere un’idea delle distanze rispetto al punto più interno del buco nero, nei confronti dell’orizzonte degli eventi, essendo due Grandezze diverse la Forza dell’attrazione gravitazionale, che supera un’altra Grandezza diversa, cioè la Velocità con cui un fotone viaggia? Mi spiego meglio: la Forza è legata all’accelerazione di un corpo dotato di massa, mentre la velocità è legata allo spazio percorso per unità di tempo. Nessun oggetto dotato di massa, però, può viaggiare alla velocità della luce. Ciò che noi vediamo in quell’immagine è l’orizzonte degli eventi, dunque, non un’immagine ulteriormente verso il centro del buco nero?
Cerco di essere conciso e, spero, efficace, anche se per restare chiaro dovrò necessariamente essere un po’ impreciso e incompleto dal punto di vista tecnico. Le dimensioni apparenti del buco nero corrispondono a quelle che avrebbe una ciambella posizionata sulla Luna, in quanto è molto distante. Nessuno strumento ottico attualmente disponibile o realizzabile in un prossimo futuro è in grado di vedere una cosa (apparentemente) così piccola. Ma siccome i segnali che vogliamo registrare sono nelle radiofrequenze, che corrispondono a lunghezze d’onda milioni di volte maggiori di quelle visibili otticamente, gli scienziati possono ricorrere ad un escamotage.
In pratica si registrano i segnali con vari telescopi distanti migliaia di chilometri e si confrontano con una tecnica molto complessa che si basa sull’interferenza delle onde radio. Con questo sistema, è come se avessimo un rilevatore grande come la distanza che separa i singoli radiotelescopi, all’incirca come tutta la zona del nostro pianeta compresa tra Stai Uniti, Francia e il Polo Sud. Con le bande di frequenza ottica questa tecnica non è purtroppo applicabile.
L’immagine che viene ricostruita permette di “vedere” solo i gas che circondano l’orizzonte degli eventi, ma non all’interno del buco nero, da dove la luce non può uscire, salvo radiazioni che però non possono essere rilevate in questo modo. Quello che accade all’interno di un buco nero può essere soltanto ipotizzato per via teorica a partire dalla Teoria della Relatività Generale di Einstein e richiede l’uso di procedure matematiche estremamente complicate. All’interno di un buco nero i concetti di spazio e di tempo sono stravolti rispetto a quelli del nostro mondo e non possiamo quantificare le distanze o la profondità. Per approfondire questi concetti in un modo accessibile senza l’uso di matematica, almeno complicata, consiglio di libro “L’enigma dei buchi neri” di Heino Falcke, uno dei leader del team scientifico che ha realizzato le immagini di M87* e Sgr A*, oppure il tomo, di lettura non facilissima ma comunque accessibile, “Buchi neri e salti temporali” di Kip Thorne, forse il massimo esperto vivente di buchi neri.
Come Astrofisico e studioso della materia quale importanza attribuisce a questa scoperta definita “straordinaria”? Quali sono le attinenze del buco nero con la teoria della relatività di Einstein di cui attraverso proprio il buco stesso verrebbe confermata l’esattezza?
Credo che in ciò residui – oltre la scoperta dell’entità spaziale – l’ubi consistam della grandezza incommensurabile della scoperta e – insieme – la straordinaria intuizione dell’incomparabile, genio dello scienziato, quindi delle potenzialità della mente umana.
Come dice Lei, innanzitutto questa è una scoperta che mostra che cosa è in grado di concepire la mente umana e quali cose straordinarie possano essere realizzate quando molte menti uniscono i loro sforzi. Fin da bambino mi interesso di Astronomia in tutti i suoi aspetti. Conservo tutti i libri che leggevo da ragazzo su questi argomenti, parliamo ormai di quasi trent’anni fa. Spesso si leggevano frasi del tipo “in futuro si spera di capire questo aspetto…”.
Col passare del tempo molte cose non chiare allora lo sono diventate, o quanto meno ne sappiamo di più. In questo caso è straordinario vedere come da piccoli passi si sia arrivati ad un grande traguardo. Meno di cent’anni fa la nostra Via Lattea era considerata l’intero universo. L’idea di “buco nero” come fase finale dell’evoluzione di certi tipi di stelle, nasce nel 1931 dalle idee dell’astrofisico indiano Subrahmanyan Chandrasekhar, che in parte si rifà ai calcoli di Karl Schwarzschild di circa 15 anni prima basandosi sulla teoria di Einstein.
All’epoca queste idee fecero molto scandalo fra i guru della relatività come Einstein e Eddington e ci volle del tempo prima che l’idea di buco nero fosse digerita dalla comunità scientifica. Nonostante questo gli stessi studiosi in questo campo hanno continuato a nutrire dei dubbi sulla reale esistenza di questi oggetti, relegati ad una mera curiosità teorica. Basti pensare che il grandissimo e compianto Stephen Hawking, famoso proprio per una formula matematica che riguarda i buchi neri, era arrivato al punto di scommettere con il collega Thorne sul fatto che un buco nero non sarebbe mai stato trovato (il premio in palio per il vincitore era un abbonamento ad una rivista per soli uomini).
Quando Hawking morì, nel 2018, l’esistenza dei buchi neri era certa al 99%, anche se già da qualche anno aveva concesso a Thorne la vittoria della scommessa. Un anno dopo ecco la prima imagine di M87*, seguita poi da Sgr A*, che segnano pertanto una certezza assoluta dell’esistenza di questi corpi celesti. Come ricordavo prima, la possibile esistenza dei buchi neri, si ricava risolvendo le equazioni di Einstein della relatività generale. Anche se il grande scienziato tedesco, almeno inizialmente, non credeva alla loro esistenza, la presenza dei buchi neri non fa che confermare ancora una volta una delle teorie scientifiche più raffinate che la mente umana ha potuto concepire.
Stiamo parlando di entità dello Spazio distanti migliaia di anni luce: tuttavia la ricerca di un buco nero all’interno della nostra Galassia deve avere una motivazione scientifica che ne giustifichi la supposta esistenza e che ne spieghi la correlazione con i milioni di corpi celesti contenuti nella Via Lattea ma anche nell’Universo in generale.
In atri termini questa correlazione esplicita una funzione?
I “buchi neri” ci anticipano forse qualche spiegazione rispetto al grande mistero dell’Universo ancora inesplorato?
In fondo il sistema solare – di per sé composito e differenziato, ancora da esplorare, ci è reso sempre più familiare dopo la scoperta di queste entità spaziali incommensurabilmente più lontane e misteriose… ‘Ultima Thule’, oltre l’allegoria che risale alla mitologia greca, è l’ultimo corpo celeste (a forma di tubero) fotografato in diretta da una navicella spaziale, eppure sta ai margini del sistema solare.
I buchi neri, è innegabile, hanno un fascino irresistibile. Non solo fra gli scienziati, ma anche fra la gente comune. Per gli scienziati il buco nero è un oggetto che per essere descritto ha bisogno di teorie matematiche complesse, è quella che viene definita una “singolarità” dello spazio-tempo. Capire la fisica dei buchi neri rappresenta quindi una sfida intellettuale molto succulenta per capire fino a che livello si può spingere la conoscenza umana, ma è anche un tassello fondamentale per capire l’origine e l’evoluzione delle galassie e dell’universo stesso.
Per la gente comune il buco nero rappresenta qualcosa di mistico, in un certo senso. Ad iniziare dal nome “buco nero”, inventato dal fisico John Wheeler nel 1967, che probabilmente è poco azzeccato dal punto di vista scientifico, ma di sicuro ha una forte presa mediatica. L’esistenza di questi oggetti ha da sempre solleticato la curiosità delle persone: “Cosa succede se finiamo in un buco nero?”, “Il Sole potrebbe trasformarsi in un buco nero?”, “E’ vero che i buchi neri ci collegano ad altri universi?” etc.
Quando circa 10 anni fa venne acceso il nuovo acceleratore di particelle al CERN di Ginevra, molti complottisti pensavano che avrebbe potuto creare un buco nero che avrebbe inghiottito la Terra. Ecco quindi che il buco nero è visto come un mostro cattivo e le persone ne sono terrorizzate ma anche affascinate al tempo stesso.
Potremmo anche dire che oggi il buco nero rappresenta quelle che una volta erano le Colonne d’Ercole, un confine tra ciò che è noto e ciò che ignoto, qualcosa che si ha paura di attraversare. Col passare del tempo l’uomo ha superato le colonne d’Ercole. Impareremo prima o poi ad attraversare anche i buchi neri? Vedremo.
Alcuni Astrofisici cominciano a teorizzare l’esistenza di un buco nero in ogni Galassia. Potrebbero essere il cuore pulsante dell’energia generatrice, l’entità con più materia, la parte più ampia e massiccia posizionata forse al centro di ciascuna Galassia.
Siamo solo in una fase iniziale e intuitiva rispetto alle molte domande che rendono affascinante, incommensurabilmente misteriosa e ricca di potenziali nuove scoperte ogni teoria sulla genesi dell’Universo?
In realtà la possibile esistenza di buchi neri al centro delle galassie è teorizzata già da alcuni decenni. Al momento abbiamo soltanto due casi conclamati, ovvero i già citati M87* e Sgr A*, ma segnali, seppure indiretti, della loro esistenza li abbiamo visti da parecchi anni in molte galassie, in particolare da quelle attive, come i quasar o le galassie di Seyfert. Il divertimento è appena cominciato. Come ho già avuto modo di dire, il bello della ricerca è non sapere dove si andrà a finire. Ogni vota che si trova la risposta ad una domanda, o si crede di trovarla, ecco che saltano fuori altre dieci domande. Pertanto è corretto dire che siamo in una fase iniziale del nostro processo di conoscenza del cosmo.
Nello specifico l’esistenza di Sagittarius A* è stata definita importante e suscettibile di ulteriorità, in termini di risposte a domande che potremmo definire ancora iniziali (rispetto alla complessità inimmaginabile delle risposte esaustive attese). Innanzitutto sulla genesi del buco stesso, sulla sua funzione (nulla esiste per caso, nemmeno a 27 mila anni luce di distanza da noi), sulla congerie di interrelazioni con i pianeti che fanno parte della Galassia in cui si trovano.
Ma in sostanza, per il grande pubblico, quali spiegazioni si possono formulare circa l’importanza della scoperta? In che cosa potranno consistere le “straordinarie conseguenze di cui discutono gli Scienziati? Per quanto mi sono già permesso di chiederLe può in qualche modo l’enorme attrazione gravitazionale di un buco nero distorcere le informazioni che riceviamo tramite immagini, cioè luce “catturata”? Intendo, quanto distante si protrae, al di qua dell’orizzonte degli eventi, la Forza con cui viene attratta la Luce? Riesce a distorcerla, al punto da distorcerne le informazioni che con essa viaggiano sino a noi?
Per il grande pubblico la scoperta può sembrare di poca importanza, e ci sta. Il grande successo dal punto di vista scientifico non è tanto la fotografia del buco nero della nostra galassia, ma l’aver capito come realizzarla, e il fatto che tutto questo, come detto, conferma quelle che finora erano state solo teorie. È difficile prevedere adesso quali saranno le conseguenze di questa scoperta, ma prima o poi ci saranno senz’altro delle ricadute, non solo nella nostra conoscenza astrofisica sull’origine delle galassie e dell’Universo, ma probabilmente anche nella vita di tutti i giorni, ad esempio nei sistemi per l’elaborazione e la gestione di grandi masse di dati.
Per quanto riguarda la seconda domanda, ovvero se un buco nero può distorcere le informazioni, la risposta è affermativa. Come previsto dalla teoria di Einstein la massa provoca una curvatura dello spazio-tempo (come scrisse Wheeler “la materia dice allo spazio come curvarsi, lo spazio dice alla materia come muoversi”). La presenza di forti masse come quella di enormi galassie che al loro interno contengono un enorme buco nero, può incurvare i raggi luminosi provenienti da galassie più distanti, col risultato di sdoppiare o addirittura quadruplicare l’immagine del corpo più lontano. Non è una speculazione teorica, ma abbiamo già visto degli esempi.
Per concludere questa interessante conversazione desidero riportare una riflessione dell’Astrofisica Mariafelicia De Laurentiis Prof.ssa dell’Università Federico I di Napoli e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) rilasciata all’Agenzia ANSA: “quella di Sagittarius A* è la foto per eccellenza -(dopo quella definita “del secolo” di M87*) – perché è la foto del ‘nostro’ buco nero… Per questo è un laboratorio unico per esplorare l’Astrofisica dei buchi neri e testare come si comporta la gravità a queste scale così vicine all’orizzonte degli eventi”. Si tratta “di un perfetto campo di test per conoscere i campi gravitazionali più intensi, cioè per confermare o escludere le varie teorie relativistiche della gravitazione formulate accanto alla Relatività Generale”.
Prof. Pesce, partiremo dunque da queste considerazioni per il seguito di Ricerca atteso?
E possiamo affermare che anche l’Italia, con il suo know how, farà la sua parte?
La riflessione della prof.ssa De Laurentiis è assolutamente corretta. A partire da questo punto c’è ancora moltissima strada da fare. L’Italia ha le potenzialità per avere una parte importante in questo percorso, come ha dimostrato fino a questo momento. Io insegno matematica e fisica in un liceo scientifico e vedo che il nostro sistema scolastico, pur con tutte le sue problematiche, è in grado di formare meglio che in altri paesi; ho vari studenti che vanno a fare un anno di superiori all’estero e tutti mi dicono che nelle mie materie non si fa praticamente nulla. Non a caso molti giovani italiani vengono assunti in istituti di ricerca stranieri. Bisogna imparare a valorizzare i nostri talenti e dare più fondi alla ricerca scientifica, anche a quella, apparentemente inutile, che riguarda i buchi neri.
Mi ha sempre colpito un’immagine mostrata dal prof. Roberto Battiston ad una conferenza: la conoscenza è come una piramide in cui la base sono le conoscenze fisiche fondamentali, tutte le applicazioni pratiche stanno sopra a questa base, se togliamo la prima, non potremo mai avere le seconde.