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Agenzia Spaziale Italiana

Perché l’Asi va commissariata

Fatti e approfondimenti su passato, presente e futuro dell’Asi (Agenzia spaziale italiana). L’intervento di Enrico Ferrone

 

Le attività spaziali – ormai è pane quotidiano per tutti – rappresentano una delle punte più alte della tecnologia mondiale. Secondo stime attendibili, sono assai vicini a novanta le Nazioni che investono in programmi spaziali, 14 delle quali hanno capacità di lancio, con una spesa globale che supera il centinaio di miliardi di dollari. Il 12% circa è appannaggio di investimenti privati nelle startup.

L’Italia – per restare nello spazio nostrano – è tra i nove Paesi mondiali dotati di un’agenzia, con un budget di oltre un miliardo di dollari all’anno. E allora proviamo ad approfondirne un aspetto.

L’Agenzia spaziale Italiana (Asi) nasce nel Bel Paese nel 1988 con lo scopo di gestire il Piano Spaziale Nazionale affidato in via transitoria al Consiglio Nazionale delle Ricerche, dopo un lungo e frastagliato iter legislativo iniziato nel lontano 1985 e concluso nella X legislazione con la legge del 30 maggio n. 186. Il primo presidente fu Luciano Guerriero e sotto la sua guida, fu definita una sbrigativa impostazione della politica aerospaziale nazionale. Però il difficile mix di ingerenza partitica fin dai suoi primi vagiti rese assai difficile la vita ai suoi scienziati e agli amministratori che iniziarono ad impostare le basi di quella che fu declamata – un po’ presuntuosamente – dalla stampa come la “Nasa italiana”. Nove presidenti, sei commissariamenti e un’amministrazione straordinaria in soli 25 anni di vita però non rappresentano un’esistenza tranquilla per un ente che dovrebbe esprimere al meglio il potenziale tecnologico di una nazione.

Quando qualcosa non va per il verso giusto, secondo il buon senso popolare, val la pena cambiarla per evitare ulteriori danni, anche utilizzando la pratica dello spoil system, anche se il cambio dei dirigenti sulla base delle volontà del governo che si insedia è una prassi della politica statunitense piuttosto distante perché pretende una ben maggiore stabilità governativa. Ma è un dettaglio già usato e forse non valutato adeguatamente.

Ora, dopo aver rimandato al suo ente di appartenenza – l’Agenzia Spaziale Europea – un presidente ripescato frettolosamente dalla componente separatista del governo dell’epoca in sostituzione – diciamolo pure – di un nipote da un lungo pedigree demo-Pd, ci ritroviamo un’altra volta alle prese con una scelta tra i papabili che si dichiarano pronti a capeggiare l’Asi ma sarà difficile perché il requisito dovrà essere massima competenza ed eccellente capacità, in quanto i soldi per lo spazio messi dall’Italia sono stati tanti e devono essere utilizzati da chi li amministra con il massimo rigore e la necessaria consapevolezza. Per farsi un’idea, parliamo in Italia di un totale di 4,6 miliardi di investimento da una filiera che oggi conta oltre 280 imprese, con circa 7.000 addetti, dislocate sia pur non omogeneamente sull’intero suolo nazionale. Una realtà molto diversificata che tuttavia sta puntando sul settore con la determinazione di ampliare la capacità di innovare, sviluppare e implementare satelliti, servizi e infrastrutture.

Siamo arrivati finalmente ad una svolta? Speriamo, perché qualcosa bisognerà pur fare per evitare gli errori del passato, i conflitti di interesse e le grossolane leggerezze dovute a cognizioni diverse da quelle richieste ad un gestore chiamato a capo di un ente che con il suo budget, si appresta a dover muoversi nel difficile mondo produttivo e finanziario orientato alla creazione e all’impiego di beni e di servizi e allo sfruttamento delle risorse nell’ambito dello spazio extra-atmosferico, il cui valore dei ricavi -a livello globale- è circa 380 miliardi di dollari. In parole più semplici, anche l’Asi deve transitare da un bilancio pianificato ad un altro che sia reale generatore di ricchezza.

Ma per far questo che occorre?, un accademico, un funzionario stretto ai lacciuoli del controllore, un distaccato dell’ente afferente? O piuttosto un manager?

La domanda, lo sappiamo bene, è retorica ma opportuna dopo tanti anni di governi non legittimati dal popolo, con nomine effettuate last minute, con tamponi limitati e in definitiva al costo di grandi risorse sprecate.

Non è forse ora il momento che l’esecutivo mostri le sue capacità, visto il largo consenso parlamentare e dunque il potere?

E torniamo al punto di partenza; quello che ci sembra manchi è la volontà di creare una nuova organizzazione disruptive in un tempo ridotto, perché – è vero – i bandi incalzano e le industrie spingono. Quindi una fase difficile un po’ per tutti in cui sarebbe necessaria stabilità e il giusto tempo per lavorare.

Allora, che fare?

L’unica opportunità che ci sembra ravvisare in questo scenario è un commissariamento dell’ente con la precisa volontà di ricominciare da zero – o anche da tre, secondo una preziosa espressione di un grande cabarettista scomparso – con una gestione più snella e finalizzata al vero compito di un’agenzia spaziale, che è quello di amministrare e non di decidere. C’è già stato un precedente nel 1995 in Italia e chi ne ha voglia vada pure a scartabellare gli atti parlamentari e tuttora di quella scelta ne restano ancora dei benefici: e non bisogna inventare granché.

Una volta tanto poi un modello delle Stelle e Strisce sarebbe il benvenuto, con un esecutivo che decida quali sono le esigenze spaziali – e di difesa! – del Paese unendo in un unico scrigno le capacità sistemistiche e le esigenze militari di quella che universalmente viene considerata una disciplina duale, per lasciare all’ente il sostanziale compito di portare a compimento quanto decretato.

Ma perché affidare al governo le decisioni? Perché lo spazio è strategico. E non lo è solo quando appare una piacevole vetrina o quando gli astronauti mostrano i lustrini in tv. Il suo valore emerge ogni volta che le sue industrie generano ricchezza e quando le sue infrastrutture e i suoi corpi in orbita garantiscono la sicurezza del territorio e la connessione delle sue reti vitali.

Il tempo, si dice, è tiranno. Perderlo sarebbe un grave errore perché tutte le amministrazioni che percorrono la stessa strada della competizione sono sempre più organizzate attraverso una pianificazione efficace, dopo aver abbattuto le ridondanze e aver cancellato tutti quegli ostacoli che tendono a ridurre il potere contrattuale.

Ora è il momento di fare. Attendere o assegnare posizioni solo per simpatia politica significa perdere definitivamente una partita senza poterla mai più recuperare.

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