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Patto digitale per le scuole in Germania. Fatti, numeri e dibattito

L'approfondimento di Pierluigi Mennitti da Berlino

 

Il governo tedesco ha lanciato il nuovo patto digitale, un piano da 5 miliardi di euro che dovrebbe trasformare le 40 mila scuole del paese in una fucina capace di dotare le nuove generazioni delle competenze necessarie per affrontare il futuro mercato del lavoro digitale. Un piano ambizioso, accolto con soddisfazione dal mondo economico che lo ritiene tuttavia già insufficiente: un primo passo, tanto necessario quanto tardivo, al quale ne dovranno seguire molti altri.

C’è stato bisogno di un accordo fra le due camere del parlamento, il Bundestag e il Bundesrat, per appianare le divergenze che riguardavano competenze (quelle scolastiche sono in Germania appannaggio dei Länder) e suddivisione degli investimenti. E c’è voluta una modifica alla Costituzione, approvata in settimana dall’aula del Bundestag con la necessaria maggioranza di due terzi (solo Afd ha votato contro), in attesa del definitivo semaforo verde che la camera delle regioni darà il prossimo 15 marzo.

Sul piatto ci sono quindi 5 miliardi di euro messi a disposizione dal governo, mentre i Länder cofinanzieranno l’importo per il solo 10%, per il potenziamento delle infrastrutture digitali nelle scuole. Diviso per i 40 mila istituti tedeschi fa più o meno 125.000 euro a istituto: i soldi passeranno dalle casse federali a quelle delle regioni (si oscillerà fra 1,05 miliardi per il più popoloso Nord Reno-Vestfalia e 48 milioni per la piccola città-Stato di Brema), le quali poi gireranno le somme competenti alle scuole che dovranno presentare a loro volta richieste articolate.

Gli obiettivi che si pone il patto digitale sono principalmente due: la costruzione di reti interne alle scuole stesse con la diffusione capillare dei wi-fi e la realizzazione di piattaforme di insegnamento digitali e di strumenti adeguati per le lezioni. Resta in gran parte fuori dal finanziamento la diffusione dei cosiddetti apparecchi digitali finali, essenzialmente tablet e smartphone da affidare agli studenti per le lezioni. A questo scopo sono destinati appena 25 milioni, una somma del tutto insufficiente: su questo aspetto, uno dei punti deboli del piano, non è chiaro come si procederà, dal momento che chiedere ai ragazzi di utilizzare i propri apparecchi privati pone problemi di privacy e di uguaglianza (ad esempio, chi ha un tablet di ultima generazione sarebbe avvantaggiato rispetto a chi possiede uno smartphone datato).

La Grande Coalizione ritiene tuttavia di aver adempiuto a uno degli impegni presi con gli elettori per recuperare lo svantaggio digitale con i concorrenti più avanzati che la Germania avverte in molti settori, da quello industriale agli apparati amministrativi dello Stato. E di averlo fatto impegnando risorse sul terreno decisivo dell’istruzione scolastica, laddove si formano le generazioni che dovranno affrontare un mercato del lavoro in larga parte automatizzato. Il ritardo è d’altronde acclarato, non solo nei confronti degli Usa e delle varie tigri asiatiche ma anche all’interno della stessa Vecchia Europa. In assenza di studi specifici, un sondaggio riportato dall’Handelsblatt rivela che la Germania si colloca ben al di sotto della media europea in tema di digitalizzazione scolastica: uno studente tedesco su quattro non usa a lezione alcuno strumento digitale, mentre in Gran Bretagna e Olanda il rapporto è di uno su due. Per non parlare di Estonia e Finlandia, assoluti battistrada nel campo. Il gap da recuperare è tale che, secondo una ricerca della fondazione Bertelsmann, sarebbero necessari 2,8 miliardi l’anno per rendere le scuole tedesche tecnicamente all’altezza della sfida digitale. Di fronte a questa stima i 5 miliardi del governo non basteranno neppure per i primi due anni.

Quelli per il momento stanziati dovrebbero cominciare a fluire nelle casse delle scuole a partire dall’estate, prima dell’inizio del nuovo anno scolastico. Un ottimismo non del tutto condiviso dagli operatori della scuola. Il presidente dell’associazione degli insegnanti, Heinz-Peter Meidinger, è scettico sul fatto che i primi miglioramenti potranno essere apportati già dal prossimo anno scolastico. “Ci sono scuole che hanno già pronti i progetti da farsi finanziare, giacché l’ammodernamento digitale è da tempo necessario, ma che dovranno rimodularli secondo i nuovi criteri del piano, e altre che invece li devono ancora sviluppare”, ha detto in un’intervista alla radio pubblica Deutschlandfunk, “e ci sono poi i tempi organizzativi dei Länder, gli erogatori dei soldi”. Mancano concetti pedagogici sull’insegnamento digitale, adeguati corsi di aggiornamento per docenti ed educatori e bisogna reperire consulenti qualificati che affianchino le scuole nel processo di digitalizzazione, ha aggiunto Meidinger, una tipologia di professionisti che già le imprese (che possono offrire ben altri salari) faticano a reperire.

Ma la direzione è quella giusta e Meidinger è sicuro che le scuole si daranno da fare per non perdere questa occasione. Anche il mondo dell’economia tira un respiro di sollievo, dopo anni di attesa. Il patto, infatti, doveva essere approvato nel corso della precedente legislatura. Slittato a quella attuale, aveva dovuto superare i contrasti sorti tra federazione e Länder, che temevano lo scippo di importanti competenze (il governo avrebbe voluto stabilire standard federali nel processo di digitalizzazione, cosa a cui ha dovuto rinunciare). Così si è perso altro tempo e ora la speranza espressa da Eric Schweitzer a nome dell’Associazione dell’industria e delle camere di commercio tedesche (Dihk) è che la burocrazia non rallenti tutto e “i tempi di applicazione siano i più rapidi possibile”. La preoccupazione maggiore del mondo del lavoro è che nell’attuazione del piano digitale non vengano penalizzati gli istituti professionali. Elke Hannack, vice presidente del Dgb, la più grande confederazione dei sindacati, ha proposto che alle scuole professionali, finora considerate le cenerentole del sistema scolastico tedesco, venga assegnata una quota fissa dei finanziamenti del patto: “La digitalizzazione del mondo del lavoro non attende”, ha detto, sottolineando ancora una volta il ritardo con cui il governo si è mosso.

L’altro problema riguarda la quantità delle risorse finanziarie messe a disposizione. Lo ha sollevato Nils Weichert, da aprile presidente del Forum Bildung Digitalisierung, un think tank che promuove in tutta la Germania il tema della digitalizzazione nelle scuole, creato nel 2017 da fondazioni del calibro di Telekom, Bertelsmann, Dieter Schwarz, Robert Bosch, Siemens, Mercator e Montag Stiftung Jugend und Gesellschaft. “Non è il massimo ma è un inizio necessario”, ha detto intervistato dall’Handelsblatt, “una goccia d’acqua su una pietra ardente” (l’equivalente italiano di una goccia nel mare). Il lato positivo è che “finalmente si parte con la costruzione delle infrastrutture digitali nelle scuole”, ha aggiunto Weichert, mentre “restano in piedi tutti i nodi tecnici legati all’assenza di concetti pedagogici e alla necessità di aggiornamento del personale scolastico, che se non risolti possono anche portare “a una dilapidazione del denaro investito”. In più il budget è sufficiente solo per avviare il processo, per Weichert è necessario trovare il meccanismo per investimenti continuativi nel tempo.

Un’ulteriore proposta arriva proprio dall’Handelsblatt, testata sensibile alle richieste del mondo industriale, che in un editoriale lancia l’idea di un alleggerimento fiscale per le imprese che si adoperano per la riqualificazione e per l’aggiornamento digitale dei propri dipendenti. La formazione non si ferma alle scuole ma investe anche quei lavoratori già inseriti in un processo produttivo che cambia continuamente. “Un bonus fiscale di tal genere ha molti vantaggi”, ha concluso l’Handelsblatt, “le imprese investono di più nell’aggiornamento professionale e diventano più competitive, mentre diminuisce l’angoscia dei lavoratori di perdere il lavoro”.

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