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Open Fiber in ritardo? Ecco le cause (taciute)

Che cosa si dice e non si dice su Open Fiber, il piano Bul e il Piano Italia a 1 Giga. L'intervento di Dario Denni, fondatore di Europio Consulting

Non è pensabile analizzare il caso Open Fiber senza tenere conto dei due piani di intervento pubblico principali che lo hanno visto coinvolto in questi anni: il piano BUL ed il Piano Italia a 1 Giga. Questo perché il solo fatto di esistere come operatore wholesale-only giustifica e legittima la sua vocazione ad interessarsi alla partecipazione infrastrutturale del Paese con i fondi che sono a disposizione. Quindi – in primis – i fondi pubblici.

Nel caso del piano aree bianche fu indetta, tra Natale e capodanno del 2021, una consultazione in merito all’efficacia degli aiuti di Stato. Non è ancora dato conoscere gli esiti di quella consultazione pubblica. Forse il risultato è stato talmente modesto da non giustificare neppure un giudizio negativo. Tuttavia i ritardi accumulati nel tempo, il cambio di tecnologia ed il punto di consegna distante decine di metri dall’appartamento del cliente finale, sono tutti elementi che hanno tolto ogni speranza all’efficacia dell’intervento dello Stato nelle aree più remote del Paese. Potremmo affermare che se quel piano fosse completato oggi, e non tra un anno, esso non sarebbe più idoneo a raggiungere gli obiettivi che furono prefissati all’epoca.

Il punto è che sono stati scritti fiumi di parole sulle cause dei ritardi del piano banda ultralarga per portare la connettività nelle aree bianche a fallimento di mercato, mentre poco si è detto per analizzare l’altrettanto disastroso ritardo sulle reti sussidiate dal PNRR nelle aree grigie. Questo perché all’epoca del “Governo dei migliori” vigeva la regola del fare presto e fare di tutto per portare a casa, nei tempi, i fondi europei del piano di ripresa e resilienza. L’obiettivo era e resta di assoluto rilievo, ma esso deve però aver fatto perdere di vista alcuni aspetti regolamentari (assenza delle norme su Aiuti di Stato reti UBB) e fattuali (carenza capacità produttiva) da cui derivare un’analisi delle condizioni di  mercato già allora molto prevedibili e con i riflessi che vediamo oggi.

Anzitutto il piano aree bianche ed il piano aree grigie non sono sovrapponibili. Il primo infatti era finalizzato alla costituzione di una rete di proprietà dello Stato. Il secondo invece è stato pensato in modalità “gap founding” ossia un modello economico di intervento dove si presume che l’operatore prima faccia investimenti con dei fondi privati secondo i piani “annunciati” al Governo, e successivamente, partecipando ad una gara, vada ad integrare le aree mancanti con un sussidio per una rete che resterà di proprietà dell’operatore, non più quindi di proprietà dello Stato.

Sebbene in entrambe i casi trattasi di reti sussidiate, aperte all’accesso di altri operatori a condizioni regolate da Agcom, il piano aree grigie assume una sua sintomatica pregnanza, proprio perché per tipologia di fondi pubblici impiegati, per difformità progettuale e strutturale rispetto al piano aree bianche, merita una trattazione separata, a se stante.

Infatti, analizzando il caso delle aree grigie, il maggior danno si potrebbe ascrivere ad un esercizio di mappatura improbabile ed alla determinazione dei bandi in assenza di regole certe europee sugli aiuti di Stato per le reti ultrabroadband, che sono arrivate con un anno di ritardo rispetto all’assegnazione dei bandi. All’epoca infatti, fu ritenuto valido il richiamo al cd. “Guiding template”, un documento di lavoro non vincolante che rappresentava una bozza di regole europee. Dunque è accaduto che al variare degli obiettivi imposti dal Governo, ivi comprese le soglie di intervento tra civici passed e served – sono variate tutte le altre condizioni e le tempistiche che normalmente creano un bilanciamento in tutti i piani infrastrutturali di questo tipo, facendo vacillare le condizioni per attuarlo. Ecco quindi che facendo atterrare il progetto Italia un giga, su un coacervo di obiettivi ancora più sfidanti del Digital Compass europeo, è stata tagliata fuori un fetta di infrastrutture di cui si sono dotati negli anni, numerosi operatori regionali di grande importanza, ed attivi proprio nelle zone di interesse. Le loro reti sono diventate invisibili alla mappatura di Infratel proprio per causa dell’asta troppo alta che fu posta dal dicastero guidato dall’ex ministro Colao che voleva raggiungere con quattro anni di anticipo una rete super performante e distribuita a tutte le unità immobiliari di cui – ancora oggi – sembra che non sia censito con certezza il numero e la localizzazione.

Come inevitabilmente accade nei casi di mancata ottemperanza di obiettivi di interesse nazionale, la politica si interroga sulle responsabilità. Ma resta un esercizio di stile quello di puntare il dito senza annunciare correttamente le cause tecniche, regolamentari e giudiziarie che hanno prodotto il ritardo. Ed è proprio questo il motivo per cui, in Italia, gli errori si ripetono.

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