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Butti Fibra

Non solo Tim, ecco gli effetti del piano di Butti sulla fibra

Che cosa ha detto il sottosegretario all’Innovazione Alessio Butti sulla necessità di deregolamentare la fibra in Italia e non solo

Anche nel nostro paese la fibra va deregolamenta, come accade già nel resto d’Europa.

È quanto sostiene il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Innovazione Tecnologica, Alessio Butti, in un intervento pubblicato oggi sul Sole 24 Ore.

“L’Italia è l’unico Paese europeo che mantiene ancora per la fibra criteri di intervento che sono stati concepiti per essere applicati sulle reti in rame. Mi riferisco ai criteri di orientamento al costo del prezzo di accesso wholesale alle nuove reti. Questo modello, come è noto, non attrae gli investimenti e riduce la competitività del settore” ha spiegato Butti: “Un’impresa che può conseguire margini solo in misure e criteri definiti dal regolatore — ha osservato il sottosegretario All’Innovazione  — difficilmente potrà dare risposte efficienti ai bisogni del mercato, particolarmente in questa fase di scelte a lungo termine, che richiedono investimenti onerosi da affrontare e che aggravano il rischio sui ritorni”. Oggi la fibra è necessaria infatti non soltanto per connessioni fisse di case e imprese, ma anche per assicurare la connettività delle reti 5G.

Ecco perché “ritengo sia arrivato il momento di allineare anche l’Italia al resto d’Europa, cambiando l’approccio regolamentare per dare, finalmente, un chiaro segnale agli operatori del nostro Paese che investono con fondi privati nella fibra” ha puntualizzato il sottosegretario all’Innovazione.

Tutti i dettagli sul piano di Butti per la fibra e le conseguenze sugli operatori tlc italiani Tim e Open Fiber, quest’ultima la società nata nel 2015 aggiudicatrice delle gare pubbliche per portare la fibra ottica Ftth nelle “aree bianche”, a fallimento di mercato.

LE TESI PIÙ RILEVANTI DI BUTTI SULLA FIBRA

Quindi l’esponente del governo Meloni delegato all’Innovazione auspica un approccio deregolatorio per la fibra in Italia.

D’altronde, sul quotidiano confindustriale, Butti ricorda che “La Commissione Europea, nel corso delle iniziative adottate per una “Gigabit connectivity” ha riconosciuto la necessità di orientare il quadro di settore verso una regolamentazione più attenta alla necessità di promuovere investimenti per le reti ad alta velocità come la fibra fino a casa”.

“L’intero settore si trova in un momento di forte discontinuità rispetto al passato” ha osservato il sottosegretario. “Non a caso, l’invito della Commissione europea a sostenere un approccio deregolatorio sulla fibra è stato accolto dai regolatori nazionali, la cui azione in tal senso è stata rimodulata, per tenere conto del fatto che gli obblighi di accesso sarebbero stati applicati su reti ancora da realizzare” ha puntualizzato il sottosegretario Butti.

SEGUIRE L’ESEMPIO DI SPAGNA, FRANCIA, GERMANIA E UK

A questo proprio, Butti guarda all’esempio di altri paesi Ue come la Spagna, che “già nel 2015 ha optato per deregolare per buona parte l’accesso alla fibra. La Francia ha eliminato il controllo del prezzo sulla fibra, cosa che ha fatto anche la Germania. Infine, il Regno Unito ha previsto sì una regolamentazione del rame e del broadband, ma solo fino a 40 Mbit, mentre le velocità superiori sono deregolate in linea con il modello europeo, nonostante l’uscita dall’Unione”.

“Questi modelli nazionali riconoscono quindi, tutti, una differenziazione degli obblighi tra rame e fibra, perché su settori di mercato che richiedono l’accesso ad ingenti risorse finanziarie è necessario oggi avere un “level playing field” sul mercato europeo e condizioni condivise capaci di attrarre nuove risorse e assicurando loro ritorno sugli investimenti” ha spiegato il Sottosegretario all’Innovazione.

Secondo Alessio Butti “Maggiori investimenti privati permetteranno, infatti, di contenere l’utilizzo di soldi pubblici, riducendo i tempi di copertura e creando più innovazione in un settore che, come è noto, costituisce il motore dell’intero sistema economico”.

LE CONSEGUENZE PER TIM E OPEN FIBER

Pertanto il nostro paese necessita di un nuovo approccio, “poiché avrà a breve i due maggiori investitori nelle reti di ultima generazione in fibra con la qualifica di operatore wholesale-only e, quindi, privi di funzioni retail” ha evidenziato il sottosegretario Butti.

Da una parte ci sarà ancora Open Fiber (operatore wholesale-only) e dall’altra, con la separazione societaria di Tim, si assisterà alla creazione di un operatore wholesale only (non più controllato dall’ex Telecom Italia). “Un requisito, questo, che consente al legislatore europeo di considerare gli operatori di fibra liberi dagli obblighi di orientamento al costo sul prezzo di accesso alle nuove reti” ha spiegato Butti.

IL CAMBIO AL VERTICE PER LA SOCIETÀ DELLA FIBRA OTTICA

Nel frattempo, la società per la fibra ottica Open Fiber ha vissuto un cambiamento al vertice.

A fine settembre gli azionisti Cdp e il fondo Macquarie – su input e ok del governo e del ministero dell’Economia – hanno dato il via libera alla sostituzione anticipata di Mario Rossetti alla testa della società con Giuseppe Gola, ex amministratore delegato di Acea ed ex cfo di Wind. Da tempo sulla società – e quindi sull’operato dell’ex ceo Rossetti – hanno pesato i ritardi accumulati nelle aree bianche. “Ritardi in parte recuperati se effettivamente i lavori saranno completati, come da tabella di marcia, nel 2024” sottolineava il Sole 24 Ore.

COMMENTO DI DARIO DENNI, FONDATORE EUROPIO CONSULTING

“Ha ragione il sottosegretario Butti a chiedere la deregolamentazione dell’accesso alle nuove reti in fibra ma per farlo si deve passare per un’analisi di mercato condotta da Agcom”, dice a Startmag Dario Denni, fondatore Europio Consulting, l’intervento di Butti sul Sole 24 Ore.

“Non possiamo guardare all’innovazione — prosegue Denni — con lo specchietto retrovisore ma di una cosa siamo sicuri, che già molti mercati geografici sono deregolamentati. Ad aprire la scena della segmentazione geografica dei remedies è stata Milano alcuni anni fa. L’evoluzione infrastrutturale ha dato vita a una concentrazione di eccellenze nelle principali città lasciando tuttora scoperte molte aree svantaggiate. Ecco: in uno scenario evolutivo è giusto che permangano regole stringenti solo per le reti sussidiate con aiuti di Stato, anche per ovvie ragioni competitive. Ma il resto sia affidato al mercato”.

GARANTIRE LA PRESENZA DELLO STATO NELLA RETE

Nel frattempo, sullo sfondo c’è ancora il nodo dello scorporo della rete Tim. L’operazione di cessione al fondo Kkr, con l’esecutivo italiano pronto a investire fino a 2,5 miliardi di euro per assicurarsi una partecipazione del 20% nella nuova NetCo, assieme il fondo F2i, ha un valore complessivo di circa 23 miliardi di euro.

Intervenendo stamani a ComoLake 2023-Next Generation Innovations, il sottosegretario Butti ha ribadito l’importanza per il governo di “poter controllare la rete delle telecomunicazioni, garantendo una presenza da parte dello Stato per quanto riguarda il controllo e poi cominciando a intravedere l’utilizzo di nuove tecnologie”. Per il sottosegretario, separando la rete dai servizi “si facilita un mercato paneuropeo e la creazione di operatori paneuropei”. Secondo Butti questa operazione “consentirà di superare la politica commerciale datata e che non consente di garantire una evoluzione tecnologica necessaria”. “Trattandosi di una società quotata in Borsa non esprimo giudizi. La cosa importante che interessa al governo è poter controllare la rete delle telecomunicazioni, garantendo una presenza da parte dello Stato per quanto riguarda il controllo e poi cominciando a intravedere l’utilizzo di nuove tecnologie” ha chiosato Alessio Butti.

Infine, secondo Butti “per assicurare la sovranità digitale europea è necessario creare un vero mercato digitale, dove i servizi di telecomunicazioni siano effettivamente disponibili a tutti i cittadini, senza barriere ed ostacoli. In questo modo sarà possibile anche avere il consolidamento auspicato dagli operatori europei sul modello americano e, quindi, competere alla pari con le altre grandi aree del mondo”.

LABRIOLA: SERVONO NUOVE REGOLE

Da parte sua il numero uno di Tim, Pietro Labriola, ha affermato che la separazione della rete “fa rumore solo perché siamo considerati un incumbent”.

“In molti” vedono questa operazione “come una cosa nuova rispetto al passato e lo è perché siamo abituati a logiche e stereotipi” del passato. “Ma quello che Tim sta cercando di fare non è diverso da quello che fa Wind. Nel nostro caso fa rumore perché siamo considerati un incumbent’, ha aggiunto Labriola, intervenendo anch’egli al ComoLake 2023-Next Generation Innovations.

Nel settore delle tlc “servono regole nuove” per quanto riguarda il ritorno degli investimenti. “E occorre farlo velocemente” ha esortato l’ad di Tim. Nel dettaglio, il top manager ha sottolineato la necessità di avere regole uguali per tutti, compresi gli Ott; e ammonisce che se non accade, “tra due anni rischiamo di non esserci più perché altri che non hanno le stesse nostre regole hanno un vantaggio competitivo. Se c’è una regolamentazione deve valere per tutti, altrimenti questa industria rischia di non esserci più”, ha concluso.

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