Sebbene in queste ore gli eterni ragazzi geniali del mondo dell’innovazione come Elon Musk o il meno conosciuto Chris Pavlovski di Rumble si straccino le vesti additando l’Europa che perseguita gli eroici imprenditori che tutelano la libertà di espressione (Pavloski ha persino scritto su X, prontamente rilanciato dal proprietario del social, di essere fuggito dal Vecchio continente per evitare di fare la stessa fine di Pavel Durov), la realtà è che Telegram ha sempre avuto una coesistenza difficile con le autorità, come dovrebbe ricordare la lunga sfida a Sec.
I’m a little late to this, but for good reason — I’ve just safely departed from Europe.
France has threatened Rumble, and now they have crossed a red line by arresting Telegram’s CEO, Pavel Durov, reportedly for not censoring speech.
Rumble will not stand for this behavior and…
— Chris Pavlovski (@chrispavlovski) August 25, 2024
DA VKONTAKTE ALLE CRIPTO
L’enfant prodige russo, nato nel 1984 a San Pietroburgo (all’epoca si chiamava ancora Leningrado) che nel 2013 assieme al fratello mise appunto una chat di messaggistica istantanea che fosse l’equivalente di WhatsApp (così come il suo VKontakte del 2006 era la copia dell’americana Facebook) tra il 2016 e il 2020 provò a dare ai suoi 400 milioni di utenti di Telegram (numeri afferenti a quegli anni, con la guerra in Ucraina il totale è di fatto più che raddoppiato) una criptomoneta da utilizzare liberamente: Grams; non aveva però fatto i conti con la Sec, la Securities and Exchange Commission americana.
IL PROGETTO E LA RACCOLTA DI CAPITALI
Durov aveva iniziato a mettere in piedi il progetto Grams nel 2016, radunando attorno a sé 171 investitori, per lo più paperoni, ma anche tanti seguaci, che misero sul piatto l’incredibile cifra di 1,7 miliardi di dollari per finanziare lo sviluppo della nuova blockchain, il Telegram Open Network, o Ton, da cui doveva nascere la nuova moneta digitale, ribattezzata Grams.
SEMPRE IN SCIA A ZUCKERBERG
Anche in questo caso Durov non stava inventando nulla, come non aveva inventato nulla nel 2006 col già ricordato social Vb, arrivato due anni dopo Fb. E come non aveva inventato nulla con Telegram, altra copia di un programma che in Occidente andava per la maggiore: WhatsApp. L’innovatore russo si era solo messo in scia a un altro imprenditore, Mark Zuckerberg (che nel frattempo aveva acquistato Wapp per 19 miliardi di dollari). Basta riprendere le cronache hi-tech di quegli anni (per esempio, un articolo a caso di Start Magazine) per vedere che si parlava solo di Libra, la valuta virtuale di Menlo Park. E Grams avrebbe dovuto farle concorrenza, essendo anch’essa collegata a una piattaforma Web con milioni di iscritti.
LA ROCAMBOLESCA FUGA DELLA RUSSIA (E LA NASCITA DI TELEGRAM)
La sola differenza nella sfida tra Durov e Zuckerberg, riedizione 2.0 dello scontro a distanza tra Nikita Krusciov e John Fitzgerald Kennedy, è che mentre l’idea geniale alla base di Facebook aveva spianato la strada a un illustre sconosciuto alla creazione di quell’impero finanziario che oggi è Meta con ricavi da oltre 35 miliardi a trimestre, il successo in Russia di VKontakte aveva spinto il suo creatore all’esilio, dato che Putin aveva provato a imporre a Durov di silenziare le sacche di opposizione che si coagulavano su quelle pagine virtuali ma, non essendo riuscito a ottenere ciò che voleva, aveva allora costretto il ragazzo a vendere il 12% che aveva in VKontakte a una società controllata da Mail.ru di Alisher Usmanov, oligarca della propria cerchia. Durov racconterà che fu proprio l’esigenza di mettersi in contatto col fratello mentre entrambi vivevano da fuggiaschi ad averlo portato a sviluppare un software a prova di intercettazione che chiamava Telegra.ph.
TELEGRAM SFIDA LA SEC
Anche Zuck, oltreoceano, ha avuto i suoi guai con le tante authorities che sorvegliano le aziende e custodiscono privacy e altri diritti, ma la fuga traumatica di Durov sembra aver spinto l’omologo russo a sviluppare una cronica insofferenza per le leggi e a porsi in costante contrapposizione con i dettati delle autorità. Iniziava così il lungo battibecco tra Telegram e la Sec, chiamata nella questione il 24 marzo 2020 dal tribunale di New York che aveva stabilito che Grams non fosse una criptovaluta come il Bitcoin, bensì un prodotto finanziario e come tale dovesse essere autorizzato dall’agenzia americana che vigila sui mercati di Borsa.
Anche in quel caso, Pavel Durov provò ad appigliarsi alla libertà (di parola, di fare impresa, ecc) e anche in quel caso tuonò contro gli ordinamenti, le norme, i lacci e i lacciuoli: “La decisione della Corte – spiegò – implica che gli altri Paesi non hanno la sovranità di decidere cosa è bene e cosa è male per i propri cittadini. Se gli Usa decidono improvvisamente di vietare l’utilizzo di caffè e chiedono ai bar in Italia di chiudere perché degli americani potrebbero entrare nei loro locali, dubito che qualcuno sarebbe d’accordo”.
LA RESISTENZA DI DUROV
Durov non mancò di sottolineare l’aspetto più controverso della decisione presa dalla Corte newyorkese, ovvero che Grams dovessere essere vietata e non semplicemente bandita dagli Usa perché, in quanto prodotto finanziario non autorizzato, c’era il rischio che finisse nelle tasche dei cittadini americani. In un’America post 2008 che si era improvvisamente scoperta economicamente fragilissima, piena di derivati e altri prodotti spazzatura lasciati circolare liberamente e volontariamente, c’era forse chi, in nome della solidità del sistema, faceva il passo più lungo della gamba. Ma tant’è, dopo 49 giorni Durov capitolò.
TELEGRAM SI ARRENDE ALLA SEC
“Oggi è un giorno triste per noi qui a Telegram. Annunciamo l’interruzione del nostro progetto di blockchain”. Finivano così, con questo messaggio di resa inoltrato su Telegram alle 18:51 del 12 maggio, i cripto-sogni di Pavel Durov e dei 171 investitori, molti dei quali peraltro della Silicon Valley.
CAMBIA IL NOME, STESSO ACRONIMO E MEDESIMO PROGETTO
Ma si trattava solo di uno stop di facciata dato che, per non buttar via tutto il lavoro fatto con lo sviluppo del Telegram Open Network, Durov decise di cambiargli nome – The Open Network -, aprire una Fondazione strategicamente posizionata in Svizzera e affidargli la gestione di una nuova critpomoneta: Toncoin, che nell’ultimo periodo ha performato eccezionalmente bene mentre adesso l’arresto di Durov potrebbe creare grattacapi improvvisi agli investitori che hanno deciso di scommetterci.
Da allora, però, non si può dire che Telegram si sia rimessa in riga, approcciandosi in modo positivo nei confronti delle autorità nazionali: tutt’altro. Le garanzie di anonimato a favore degli utenti, la puntuale sordità dimostrata alle richieste degli inquirenti che volessero indagare sui presunti loschi traffici che avverrebbero sulla piattaforma, l’impermeabilità a qualsiasi forma di intercettazione, sono infatti alla base del recente arresto sul suolo francese per il quale quest’oggi Musk e altri suoi arrembanti emuli si stracciano le vesti, confondendo la libertà di fare impresa con la pretesa di essere al di sopra delle leggi. Ogni generazione di imprenditori, del resto, ha voluto la propria fetta di deregulation.