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Metaverso

Il metaverso è la nuova frontiera dello smart working?

L’ingresso del metaverso negli uffici o nelle fabbriche può produrre una collaborazione più efficace tra colleghi e un modello diverso di formazione e trasmissione interna del know-how. L'articolo di Stefano da Empoli, presidente di I-Com, tratto dal quadrimestrale di Startmag.

Sono almeno due le principali direttrici di novità, se non di vera e propria rivoluzione, che potrebbe indurre l’ingresso negli uffici o nelle fabbriche dei mondi virtuali. Da un lato una collaborazione più efficace tra colleghi che non si trovano nello stesso luogo fisico, dall’altro un modello diverso di formazione e trasmissione interna del know-how.

Sul primo fronte, la realtà estesa o mista può portare il lavoro da remoto a un livello completamente nuovo. Oggi il cosiddetto smart working è uno strumento altamente imperfetto, ma al tempo stesso di grande valore, principalmente perché consente una  migliore conciliazione tra lavoro e vita privata. Secondo un recentissimo studio della società di consulenza Public First, basato sui microdati dell’istituto di statistica britannico, la proporzione di donne occupate a tempo pieno nel Regno Unito è aumentato dal 56,5% del 2019 al 58,7% del 2023 e la maggiore flessibilità resa possibile dal lavoro ibrido ne è la principale causa. Lo testimonia d’altronde il fatto che l’incremento sia stato più pronunciato nei servizi, dove ovviamente è più facile attuare schemi di questo tipo. Addirittura nel settore finanza e assicurazioni la percentuale è cresciuta dal 75% all’83%, mentre in quello informazione e comunicazione dal 79% all’83% e negli altri servizi professionali dal 68% al 71%.

Il metaverso, consentendo di ricreare meglio l’attuale realtà fisica di quanto non abbiano fatto finora gli strumenti a disposizione, tendenzialmente basati su tecnologie 2D, da un lato permetterebbe di aumentare ancora la flessibilità tra lavoro e sfera privata, consentendo in teoria una piena libertà di scelta basata sulle esigenze del singolo, senza impattare sullo scambio di idee ma anche di empatia oggi dominio dei corridoi e degli altri spazi comuni delle organizzazioni, e dall’altro di poter collaborare non solo con i propri compagni di ufficio, ma almeno potenzialmente con chiunque dovunque si trovi, collega o semplicemente persona con la quale si condividono degli interessi. In definitiva, potrebbe dunque essere questa la killer application di un lavoro che finalmente sarebbe in grado di diventare davvero smart, rendendo i talenti realmente globali. E facendo venire meno le attuali resistenze dei datori di lavoro. Che in Italia si annidano soprattutto tra le piccole e medie imprese e nella pubblica amministrazione.

SUPERARE I LIMITI DEL LAVORO REMOTO

Secondo i dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, nel 2022 i lavoratori da remoto italiani sono diminuiti di circa mezzo milione di unità, da poco più di 4 milioni di unità dell’anno precedente a 3,6 milioni. Ma mentre le grandi imprese stanno continuando a puntare massicciamente sullo strumento, il vero arretramento, dopo il boom pandemico, si è registrato tra le piccole e medie imprese e nella pubblica amministrazione. Infatti, tra le prime si è passati dall’81% al 91% di soggetti che lo attuano (per una media mensile di 9,5 giorni) mentre tra le seconde si è scesi sotto la metà (da 53% al 48% con una media decisamente più limitata di 4,5 giorni al mese) e nella terza dal 67% al 57% degli enti (con una media di 8 giorni mensili).

Eppure, chi è riuscito a riorganizzare i propri spazi aziendali e soprattutto ad applicare modelli di lavoro avanzati, basati su obiettivi verificabili, ha conseguito costi minori senza impatti apparentemente negativi sulla produttività del lavoro. Sulla quale al segno più si deve registrare in media un maggiore livello di benessere del lavoratore, mentre all’opposto potrebbe incidere, anche in presenza di modelli efficaci di organizzazione del lavoro, il minore tasso di innovazione derivante dalla limitata capacità di interazione e brainstorming. Quest’ultimo è per inciso il motivo per il quale perfino molte delle aziende della Silicon Valley hanno deciso di tornare sui propri passi, richiamando in ufficio i propri dipendenti. Un vero e proprio paradosso della digital transformation. Ma chi dipende in maniera decisiva dalla propria capacità di innovare sa che quest’ultima avviene spesso in maniera randomica, grazie all’aggregazione casuale tra talenti che si ritrovano di fronte alla macchinetta del caffè o nel bar aziendale. Tanto per fare un esempio attuale, il progresso decisivo alla base dell’intelligenza artificiale generativa, l’architettura transformer, è stato il frutto di un incontro casuale in un corridoio di Google avvenuto nell’inverno del 2017. Ebbene, non sappiamo ancora se il metaverso sarà in grado di simulare la probabilità nonché la qualità di questo tipo di interazioni fisiche (o di trovare delle alternative altrettanto valide) ma, qualora fosse in grado di esporci con una immersività decisamente più elevata di quella attualmente disponibile a un numero esponenzialmente superiore di potenziali relazioni, affinando il matching tra persone che in posti diversi lavorano sugli stessi temi o condividono interessi comuni, il risultato finale potrebbe essere quello non solo di non diminuire l’output creativo attuale ma addirittura di aumentarlo e non di poco.

SIMULAZIONI IN SALA OPERATORIA (VIRTUALE)

Sul secondo fronte, già oggi sono disponibili modelli che simulano mansioni professionali e consentono per esempio a neo-lavoratori di poter acquisire velocemente le competenze richieste e senza mettere a rischio la propria incolumità e quella di altri. Il caso classico è quello dei simulatori di volo che permettono a futuri piloti di esercitarsi senza innescare potenziali conseguenze catastrofiche. Tuttavia, il metaverso potrebbe estendere potenzialmente all’infinito questo tipo di possibilità, anche a situazioni dove il passaggio al 3D e a un maggiore realismo della riproduzione grafica potrebbe fare tutta la differenza del mondo. Pensiamo a medici che grazie a repliche ultra-realistiche di sale operatorie, strumenti a disposizione e organi umani sui quali intervenire possono farsi le ossa prima di sperimentare le proprie abilità su pazienti in carne ed ossa.

Oggi in molte professioni la fase di training avviene direttamente on the job. Il che non ha solo l’evidente limite che ogni errore ha conseguenze che possono andare dal poco significativo al drammatico. Proprio per questo il lavoratore in erba avrà una curva di apprendimento meno ripida del necessario perché il suo primo obiettivo sarà quello di minimizzare possibili sbagli. Con ogni probabilità, per un periodo di tempo sufficientemente lungo dovrà affiancare lavoratori più esperti e solo quando si sentirà sufficientemente sicuro potrà trovare una sua autonomia. Al tempo stesso, la simulazione abilitata da una realtà virtuale può esporre il neo-occupato a un range di eventi anche avversi decisamente superiore rispetto a quello disponibile nel mondo fisico, consentendogli di ampliare dunque più velocemente il proprio bagaglio di esperienze. Peraltro, il metaverso permette ai formatori di trovarsi in un luogo fisico diverso da quello di chi viene formato e di costituire classi virtuali mettendo insieme soggetti che non hanno bisogno di trovarsi nello stesso posto. Con un risparmio evidente in termini di costi, a parità di efficacia.

Oggi una delle barriere principali all’introduzione del metaverso in generale nella società e più nello specifico nel mondo del lavoro è rappresentata dal costo dei device ma soprattutto dei contenuti che lo popolano. Spesso si dice, con qualche ragione, che l’ascesa dell’intelligenza artificiale generativa ha oscurato la parabola del metaverso, sia in termini di hype che di investimenti. In realtà, viene solitamente trascurata un’altra faccia della medaglia, probabilmente più rilevante: l’intelligenza artificiale generativa, aumentando a dismisura la capacità di generare contenuti, può diventare il migliore alleato del metaverso, riducendone drammaticamente i costi e aumentandone le applicazioni. Che poi questo accada, dipende sia dalle capacità di chi sviluppa le tecnologie che di chi le dovrebbe adottare.

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