Il monito del Pontefice affinché l’uomo, con la sua saggezza, prevalga sempre sulle macchine è stato accolto con favore dai sette leader delle grandi democrazie. Infatti, è stato anche l’affermazione del primato della politica (buona) sulle tecnocrazie.
Questo plauso deve tuttavia tradursi in un quadro regolatorio idoneo al mondo nuovo della intelligenza artificiale generativa.
Per lungo tempo, con la fine delle monarchie assolute e con la caduta dei regimi autoritari, le democrazie occidentali si sono preoccupate di limitare progressivamente gli spazi discrezionali delle persone fisiche e giuridiche nel nome della tutela del cittadino in quanto elettore, utente o consumatore.
A ciò si è aggiunto, ove più ove meno, il peso di una giurisprudenza spesso imponderabile che ha indotto comportamenti difensivi in danno della responsabilità della persona.
L’Europa, in particolare, incontra le tecnologie intelligenti con un pesante bagaglio di regole. E ora reagisce ai timori che queste producono con ulteriori intenzioni vincolistiche verso le macchine. Il quesito a questo punto sorge spontaneo, almeno in coloro che sono orientati dalla antropologia positiva.
E’ più utile aggiungere limiti all’uso di tecnologie tutte da sperimentare nelle loro potenzialità (positive) o liberare l’uomo affinché le usi quale fonte incrementale e non sostitutiva della propria intelligenza? In questo cambio d’epoca l’otre vecchio del quadro giuridico non si adatta al vino nuovo.
Competiamo con la grande democrazia liberale e creativa da un lato e con la grande economia autocratica cinese dall’altro.
Solo liberando la discrezionalità responsabile e investendo nella educazione morale, nel pensiero critico, avremo decisori istituzionali coraggiosi, persone esperte che decidono con tempestività, medici che agiscono in scienza e coscienza.
Il confronto dell’uomo con le macchine impone più, non meno, libertà.
Maurizio Sacconi