skip to Main Content

Economia

Come far crescere l’economia intangibile?

Estratto dal libro "Capitalismo senza capitale. L’ascesa dell’economia intangibile" (FrancoAngeli) di Jonathan Haskel (Imperial College) e Stian Westlake (Nesta)

Se supponiamo che gli investimenti intangibili diverranno sempre più importanti per le aziende, che tipi di istituzioni finanziarie e di meccanismi di finanziamento serviranno per sostenerli e quali opportunità si creeranno in questo modo per gli investitori?

Prima di tutto, ci aspetteremmo un allontanamento dal prestito bancario come strumento di finanziamento alle imprese. Parte di questa perdita sarebbe compensata dalla creazione di nuovi prodotti finanziari garantiti dalla proprietà intellettuale, ma per il resto vi sarebbe uno spostamento verso l’utilizzo del capitale proprio per finanziare le piccole e medie imprese. Un simile processo dovrebbe poggiare su una successiva e incisiva riforma fiscale che mettesse per esempio fine alle agevolazioni fiscali di cui gode il debito e introducesse più vantaggi fiscali per le start-up, e su nuove istituzioni finanziare che consentissero gli investimenti di capitale su piccola scala e che facilitassero la due diligence.

Ci attenderemmo che gli investimenti di public equity fossero maggiormente dominati dalle istituzioni, alcune delle quali sarebbero disposte a una partecipazione più significativa nelle aziende con molti asset intangibili, consentendo un maggiore livello di investimenti. Ciò implicherebbe l’abrogazione di alcune norme che scoraggiano gli investitori di riferimento e richiederebbe strumenti più efficaci perché gli investitori possano valutare e misurare gli investimenti intangibili. Col tempo, alcuni di questi strumenti produrrebbero cambiamenti negli standard contabili, in modo che il bilancio delle public company possa rispecchiare in modo più fedele gli investimenti (ormai prevalentemente intangibili) effettuati (Lev 2001; Lev, Gu 2016).

Poiché attualmente almeno una parte degli investimenti intangibili è sottostimata, si presenterebbe per una volta la possibilità per i fondi di creare plusvalenza acquistando e mantenendo le azioni di aziende con molti asset intangibili e di supportare i piani del management per ulteriori investimenti intangibili. Ci si potrebbe attendere anche un aumento del numero delle grandi imprese private, perché alcune aziende con azionisti di riferimento importanti potrebbero decidere che i costi di disclosure (che potrebbero essere superiori in un’epoca di asset intangibili che generano molti spill over) sono maggiori dei vantaggi offerti dalla quotazione in borsa.

Gli investitori maggiori avrebbero a disposizione anche una nuova strategia: investire diffusamente in tutto l’ecosistema, in modo che diventi conveniente approvare piani di gestione per gli investimenti intangibili anche se producono molti spill over poiché questi investitori, avendo quote di partecipazione in tutta l’industria, trarrebbero benefici da questi investimenti anche se dovesse avvantaggiarsene un’altra impresa. Questa tattica di investimento in una determinata industria (come quella dell’energia) potrebbe forse trovare un’applicazione più ampia, soprattutto nel caso dei grandi investitori come i fondi sovrani. Questa sembra essere la modalità più probabile con cui potrà forse nascere una nuova generazione di Bell Labs sotto l’egida della finanza privata.

Probabilmente assisteremo anche a una espansione del venture capital, sebbene non sia chiaro se nasceranno nuovi settori finanziari del venture capital in diversi luoghi o se nuovi settori industriali ne saranno interessati. In ogni caso, per svilupparsi ulteriormente, questi fondi continueranno a fare affidamento sulle strette relazioni che intercorrono con le aziende consolidate e con gli investimenti intangibili finanziati dallo Stato (come lo sviluppo della ricerca di lungo periodo).

Il venture capital si è sviluppato in parallelo con uno specifico tipo di imprese ad alta intensità di asset intangibili e pertanto immaginiamo che sia intervenuto un processo di reciproco adattamento. Questo legame tra investimenti intangibili da un lato e i vantaggi e le sfide del venture capital dall’altro non è solo una vana curiosità ma ha un’importanza pratica perché fornisce indicazioni relative al tipo di sistema finanziario che potremmo avere in un mondo in cui gli investimenti intangibili diventeranno la norma, e su quali tipi di istituzioni saranno necessarie per investire in altre aziende con molti asset intangibili.

Infine, se le sovvenzioni pubbliche alle istituzioni del settore privato non riusciranno a generare spill over pubblici sufficienti, forse crescerà l’importanza dei generatori di conoscenza finanziati dallo Stato: le università. Ma perché il sostegno sia concreto, si dovrà trattare di istituzioni che generano conoscenza realmente pubbliche e probabilmente si dovranno sperimentare nuove forme di organizzazione.

Può darsi che tutto questo si possa realizzare meglio attraverso gli istituti di ricerca piuttosto che attraverso le normali università e forse, paradossalmente, le ricerche finanziate non dovrebbero essere immediatamente commercializzabili, questione di cui potrebbero occuparsi i privati.

Back To Top