skip to Main Content

Imprese

Le imprese italiane sono davvero meno digitalizzate di quelle europee? L’analisi di Da Empoli

Pubblichiamo un breve estratto del libro "Intelligenza artificiale: ultima chiamata — Il Sistema Italia alla prova del futuro" di Stefano Da Empoli edito da Egea

In primo luogo, mentre l’Italia sotto il profilo delle competenze scientifiche e digitali e dell’uso di internet è in effetti molto distante dalla media europea (nell’edizione 2019 del DESI, rispettivamente di 14,4 e 13 punti), nell’integrazione delle tecnologie digitali nell’attività d’impresa la distanza è significativamente minore (7,8 punti) ma soprattutto in larga parte imputabile alla scarsa penetrazione dell’e-commerce, che vale 3 sottoindicatori su 7. Sulla magra performance delle imprese sul canale online incide innanzitutto la scarsa domanda di beni su questo canale da parte dei consumatori italiani, come riconosce la stessa Commissione Europea nel giudizio sul nostro Paese. Ma un altro fattore che potrebbe contribuire al risultato negativo è la percentuale più elevata di aziende che forniscono beni intermedi o semilavorati, per i quali le transazioni, almeno quelle che riguardano gli ambiti di attività nei quali lavorano le imprese italiane, rimangono spesso fisiche (anche per le ragioni che abbiamo identificato nel Capitolo precedente). Se guardiamo invece alle quattro variabili che attengono l’adozione di tecnologie da parte delle imprese (software ERP per lo scambio di informazioni tra le diverse funzioni aziendali, social media, big data e cloud computing), l’Italia è sopra la media nella prima, quasi in linea nella seconda e nella quarta, piuttosto staccata nella terza.

Risultati discreti se confrontati con le scarse competenze digitali della popolazione italiana. Ma che diventano ancora migliori includendo altre variabili che il DESI non tiene in considerazione, e che invece sono molto importanti dal punto di vista del sistema produttivo, e tenendo conto anche del peso elevatissimo delle piccole imprese, che riflettono più da vicino il quadro critico delle skill di base e dell’utilizzo degli strumenti digitali da parte della popolazione italiana. Le imprese italiane utilizzano più della media europea i robot (9% contro il 7%) e le tecnologie RFID (13% contro 12%) mentre sulla stampa 3D sono alla pari (al 4%) e sui software CRM, che consentono di digitalizzare i rapporti con fornitori e clienti, si collocano a ridosso (con il 31% di aziende che lo adottano contro il 33% a livello europeo). Se restringiamo l’analisi al settore manifatturiero, l’Italia è il sesto Paese al mondo per numero di robot industriali installati (dietro Cina, Giappone, Corea del Sud, USA e Germania) e il decimo per densità (con 190 robot ogni 10.000 lavoratori siamo il quinto Paese europeo dopo il trio nordico rappresentato da Germania, Svezia e Danimarca e a due sole lunghezze dal Belgio e dieci dagli Usa).

Questa performance media delle aziende italiane, decisamente meno catastrofica della narrativa comune sul tema, è tanto più notevole considerando il numero elevatissimo di piccole imprese, superiore a quella dei nostri principali competitor, a partire da Germania e Francia. Se infatti i dati italiani vengono disaggregati in base alla dimensione d’impresa, la percentuale di adozione dell’ERP sale da una media del 37% al 65% per le medie aziende e all’80% per le grandi; quella di software CRM dal 31% a rispettivamente il 43% e il 53%; quella dei big data dal 7% al 14% e al 30% e del cloud di medio-alta sofisticazione dall’11% al 17% e al 32%. Per quest’ultimo, è proprio nel cloud più sofisticato, davvero in grado di abilitare l’AI, che si è registrato il trend più positivo tra le imprese italiane (+46% in media tra 2016 e 2018).

Naturalmente, l’esercizio appena svolto non ha la finalità di crogiolarci sulla bontà delle azioni svolte nel nostro recente passato. Come abbiamo avuto modo di vedere nei primi Capitoli, essere nella media europea o nei suoi paraggi non ci deve riempire di orgoglio ma semmai deve essere uno sprone, che vale per tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, a fare di meglio per recuperare il gap nei confronti di aree digitalmente più progredite della nostra. Dobbiamo però smetterla di accumulare una sindrome di inferiorità, che oltre che infondata (almeno su alcuni aspetti) rischia di essere autolesionistica e di portarci verso soluzioni sbagliate o non prioritarie.

Back To Top