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La disarmonica presenza italiana nella ricerca internazionale. Report Cnr-Ircres

La partecipazione italiana ai programmi quadro europei è contraddistinta da una forte disomogeneità: l’analisi dei ricercatori del Cnr-Ircres, pubblicata sulla "Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia" mostra come, nonostante la partecipazione attiva nei Programmi Quadro, le collaborazioni internazionali più prestigiose tendano ad accentrarsi intorno a poche organizzazioni – del Nord Italia – con una lunga tradizione di partecipazione

 

L’Italia è chiamata a migliorare la sua partecipazione ai Programmi Quadro, invertendo il trend consolidato del nostro Paese caratterizzato da uno scarso tasso di ritorno dell’investimento europeo. È quanto emerge dalle ultime analisi del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), discusse il 15 ottobre durante la presentazione della “Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia” dai curatori Daniele Archibugi e Fabrizio Tuzi alla presenza del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, del ministro dell’Istruzione, università e ricerca scientifica (Miur) Lorenzo Fioramonti, del presidente della Crui, Gaetano Manfredi e del presidente del Cnr Massimo Inguscio.

“La collaborazione internazionale sviluppata attraverso i Programmi Quadro è essenziale per inserirsi nelle reti più prestigiose, che contribuiscono alla creazione conoscenza utile a sostenere l’economia e il benessere della società” dichiara Emanuela Reale, dirigente di ricerca presso il Cnr-Ircres e co-autrice della relazione. “Eppure, osservando la partecipazione italiana ai Programmi Quadro europei, possiamo notare che essa è connotata tradizionalmente da luci e ombre. Sebbene la capacità del nostro paese di partecipare e di assicurarsi fondi europei sia migliorata notevolmente nel corso degli anni, permangono delle debolezze che sono legate ai problemi strutturali del sistema di ricerca e innovazione nazionale”.

I bilanci più recenti di ANVUR e APRE sulla partecipazione italiana ai Programmi di ricerca europei restituiscono l’immagine di un paese con un basso tasso di successo a fronte di una alta numerosità di proposte sottoposte, che è seconda solo al Regno Unito, con 58.746 partecipanti contro i 62.746 del Regno Unito e i 58.159 della Germania. Nonostante la numerosità delle iniziative, non si rileva un’adeguata capacità di superare la fase di selezione. Sebbene la partecipazione dell’Italia in Horizon 2020 registri un lieve miglioramento sia come tasso di successo sia come contributo finanziario raccolto, la distanza con il Regno Unito e i grandi paesi dell’Europa continentale resta molto elevata, compresa la Spagna, che nel ciclo di Horizon 2020 mostra una performance in continuo miglioramento. Nello specifico, l’Italia ha conseguito nel primo triennio del programma europeo settennale in corso l’8,7%, contro il 16,4% della Germania, il 14% del Regno Unito, il 10,5% della Francia.

Gli effetti che si producono a causa di queste anomalie si riflettono nella differenza tra il contributo versato dall’Italia ai Programmi Quadro comunitari e la quota di finanziamento accordato alle organizzazioni italiane, la quale segnala il problema dell’insufficiente ritorno dell’investimento complessivo fatto dal nostro paese per Ricerca e Sviluppo nell’ambito dell’Unione europea.

“In sostanza, il nostro paese soffre la mancanza di partecipazione adeguata alle azioni di maggiore prestigio dei programmi europei, che fungono anche da fattori di attrazione delle migliori intelligenze nella Ricerca e Sviluppo”, prosegue Reale. “Questa debolezza è collegata allo scarso investimento nazionale in R&S, che scoraggia la permanenza di ricercatori giovani, e alla progressiva erosione dei fondi di finanziamento ordinario degli organismi pubblici di ricerca, che sono destinati a sostenere la ricerca di qualità elevata potenzialmente idonea a produrre innovazioni e rottura di paradigmi consolidati”.
Sulla base di questi dati, i ricercatori del Cnr-Ircres, utilizzando il database RISIS-EUPRO, hanno analizzato le organizzazioni di ricerca nazionali che riescono ad inserirsi nei circuiti più prestigiosi della collaborazione internazionale, e calcolato l’ampiezza e l’articolazione delle reti di collaborazione.

“La tendenza nel corso degli anni del numero di progetti e numero di partecipanti italiani sembra aumentare nel tempo. Per Horizon 2020 il numero di partecipanti italiani dovrebbe, alla data del suo termine, superare quello di FP7 nei diversi pilastri di intervento”, commenta Antonio Zinilli, ricercatore Cnr-Ircres e co-autore della relazione. “Tra le organizzazioni di ricerca che presentano maggiore eterogeneità rispetto ai programmi di Horizon2020 troviamo al primo posto il CNR e l’ENEA. Tra le università emergono il Politecnico di Milano e il Politecnico di Torino, Bologna, Sapienza e Padova”.

Il passaggio a Horizon 2020, inoltre, vede un rafforzamento della partecipazione degli enti di ricerca e al contrario una riduzione di quella universitaria, probabilmente a causa del forte orientamento verso i temi dell’innovazione tecnologica e sociale. A confermare questo andamento, la percentuale di partecipazione delle imprese, che in Horizon 2020 raggiunge il 41,86% delle organizzazioni coinvolte.

Si osserva, inoltre, una partecipazione maggiore fra le regioni del Nord Italia, restituendo un panorama dove la forte disomogeneità sociale ed economica tra le varie regioni italiane si conferma anche con riferimento alla partecipazione alla ricerca internazionale.

“I nostri studi sottolineano come le organizzazioni che già hanno posizioni di rilievo nelle collaborazioni internazionali tendono a mantenerle e a rafforzarle, mentre le organizzazioni che non vantano tradizioni di partecipazione ai Programmi Quadro hanno vincoli in entrata molto onerosi”, conclude Zinilli. “Pertanto, la debolezza dell’Italia passa anche attraverso la geografia della sua partecipazione: una concentrazione elevata in poche organizzazioni prevalentemente localizzate nel Nord, capaci di inserirsi e permanere al centro di reti di relazioni, ma molte organizzazioni che invece restano escluse”.

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