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Ai Act

Intelligenza artificiale, chi critica e perché l’AI Act Ue?

Pur non essendo tra i protagonisti nello sviluppo dell'intelligenza artificiale (IA), l'Ue voleva arrivare per prima con una legge che la regolamentasse. Ora ce l'ha, ma secondo vari esperti c'è poco da vantarsi del primato. Girotondo di commenti (critici) sull'AI Act, approvato ieri dal Parlamento europeo

 

Ieri il Parlamento europeo ha approvato l’AI Act, la prima legge al mondo sull’intelligenza artificiale (IA). Tuttavia, secondo alcuni esperti, non c’è molto da festeggiare…

UNA NORMA PER RITAGLIARSI UN RUOLO

Per Stefano Mele, partner e responsabile del dipartimento cybersecurity & space economy law dello studio legale Gianni & Origoni, intervistato da Formiche, l’AI Act è la strategia dell’Unione europea “di provare a condizionare attraverso le norme la ‘corsa’ di Stati Uniti e Cina”, “non potendo concorrere sul piano degli investimenti e dello sviluppo tecnologico nel settore dell’intelligenza artificiale”.

La vera gara per l’IA è giocata infatti, ancora una volta, dalle due più grandi potenze economiche che, come sottolineato da Mele, “investono da anni miliardi di dollari sull’intelligenza artificiale, ovvero su quello che, a mio avviso, è uno tra i principali macro-trend tecnologici in grado di garantire la leadership globale nel prossimo futuro”.

Gli fa eco in modo più critico, sul Corriere della sera, Alan Perotti, ricercatore e data scientist in Centai, il laboratorio per la ricerca avanzata nel campo dell’intelligenza artificiale fondato a Torino: “L’Europa si sta ritagliando un ruolo da arbitro in una sfida tecnologica guidata da America e Cina: l’arbitro nelle competizioni serve, ma non vince mai. È importante che questa parte normativa venga appaiata con investimenti sulla ricerca, altrimenti finiamo a fare i legislatori di prodotti altrui”.

LA VERA URGENZA (ITALIANA) SONO GLI INVESTIMENTI

Anche Stefano da Empoli, docente e presidente di I-Com, sempre sul Corriere, picchia duro sull’insufficienza degli investimenti, in particolare di quelli italiani: “L’AI Act europeo è un passo necessario ma non sufficiente per l’Italia. Le regole chiare tracciano un percorso e sensibilizzano, ma mancano ancora investimenti adeguati. Pur raggiungendo un traguardo normativo, serve un’implementazione efficace che non è affatto scontata”.

“Oggi – dichiara il docente – solo il 5% delle aziende italiane utilizza l’AI, con un enorme potenziale di diffusione tra le piccole imprese che sono oltre il 90% del totale. La sfida è aumentare gli investimenti pubblici e privati in ricerca e innovazione, oggi insufficienti, con un maggior coordinamento europeo per raggiungere la massa critica necessaria a competere con Usa e Cina”.

UNA (INUTILE?) CORSA PER ARRIVARE PRIMI

Su Domani, Giovanni Maria Riccio, giurista e professore ordinario di diritto comparato d’autore all’Università di Salerno, ribadisce il ruolo da spettatrice dell’Europa rispetto al duopolio Stati Uniti-Cina e solleva anche un’altra questione, ovvero che l’Ue non sembra tenere conto della rapida evoluzione di tali tecnologie che, “nel prossimo futuro, potrebbero radicalmente cambiare”.

L’Europa, pur non essendo tra i protagonisti della corsa all’IA, si è affrettata per essere la prima a varare una legge ma le regole dell’Ai Act, scrive Riccio, “si applicano, al momento, principalmente a società non europee, facendo assomigliare la decantata cittadella, che ha eretto le sue mura attorno ai diritti fondamentali, a un paesino che sconta un evidente ritardo tecnologico rispetto a Stati Uniti e Cina (e forse anche ad altri) e che tenta disperatamente di difendere i propri ritardi competitivi”.

Inoltre, anche il giurista torna a farsi delle domande sui pochi investimenti nel settore e sulle non apertamente dichiarate ambizioni dell’Ue: “quanto stanno investendo i paesi europei – Francia a parte – sullo sviluppo di queste tecnologie? […] l’Ai Act è una normativa europea o è qualcosa che, dall’Europa, vorrebbe controllare ciò che si sta affermando oltre i suoi confini?”.

COSA NON VA SECONDO IL CO-FONDATORE DI TRANSLATED E IL M5S

Ancora più severo è il giudizio di Marco Trombetti, co-fondatore di Translated, che tra le altre cose effettua con l’aiuto dell’IA le traduzioni di Airbnb in decine di lingue: “Vedo più di un aspetto problematico: da come dovranno essere i ‘dataset’ per allenare gli algoritmi, alle sanzioni che trovo sproporzionate e che spero non scoraggino giovani e startup a investire”.

“Al contempo – aggiunge -, alcuni rischi veri non sono regolamentati: in primis le armi autonome. Ma anche la trasparenza dietro l’’allineamento’, che è la capacità degli algoritmi di restituire agli utenti risposte allineate con le loro preferenze e potenzialmente in grado di influenzarne in maniera sempre più sottile e pervasiva opinioni e comportamenti”.

È d’accordo Sabrina Pignedoli, europarlamentare del gruppo M5S (che si è astenuto): “Il testo che è emerso rischia di essere più dannoso che utile. Le definizioni sono troppo vaghe, la ‘misurabilità’ dell’intelligenza artificiale è una chimera e l’AI Act si sovrappone, in alcune parti, ad altre norme europee, andando anche in contraddizione”.

“In questo modo – ribadisce Pignedoli – diventa molto difficile, soprattutto per le piccole e medie imprese, poter avere un quadro normativo chiaro e semplice su cui basare i propri investimenti e la possibilità di accedere a tecnologie di intelligenza artificiale. Il rischio è che invece di promuovere la diffusione di una intelligenza artificiale sicura, si creino barriere d’entrata aumentando i divari e scoraggiando l’innovazione europea”.

UN FALLIMENTO PER I DIRITTI UMANI DEI PIÙ INDIFESI

Per Access Now, organizzazione no-profit fondata nel 2009 e focalizzata sui diritti civili digitali, non ci siamo proprio. Dal suo sito definisce l’AI Act “un fallimento per i diritti umani, una vittoria per l’industria e le forze dell’ordine” che avrebbero perpetrato “una scandalosa attività di lobbying“.

Il risultato, secondo l’organizzazione, è un testo “pieno di scappatoie, eccezioni e ritocchi che non proteggeranno le persone, né i loro diritti umani, da alcuni degli usi più pericolosi dell’IA”.

In particolare, Access Now fa notare che l’AI Act “non riesce a vietare adeguatamente alcuni degli usi più pericolosi dell’IA, tra cui i sistemi che consentono la sorveglianza biometrica di massa e i sistemi di polizia predittiva”, creando così “un regime separato per le persone che migrano, cercano rifugio e/o vivono senza documenti, lasciando loro molti meno diritti rispetto ai cittadini dell’Ue e quasi nessun accesso ai rimedi quando questi diritti vengono violati”.

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