Non sta bene fare nomi ma non servirà un grande sforzo d’immaginazione per capire. Un famoso calciatore viene fotografato con una donna che non è sua moglie. Sarebbero affari suoi e della sua consorte. Ma nell’epoca di internet i panni sporchi non si possono più lavare in famiglia. Qualcuno che non ha niente di meglio da fare posta la foto sui social e scoppia la bufera mediatica che dà puntualmente conto di crisi coniugale e divorzio. L’epilogo sarebbe stato probabilmente lo stesso ma l’inizio della vicenda e la rapidità con cui tutto è avvenuto lo ha deciso internet e non i diretti interessati. E di episodi del genere ne succedono ogni giorno anche a persone non famose.
“Infocrazia” (Einaudi, 88 pagine. 18,50 euro), l’ultimo libro del filosofo Byung-Chul Han, mette in evidenza come le nostre vite siano condizionate o, meglio, manipolate dalla rete. Da facebook a twitter e chissà quanti altri, siamo stati sedotti dai nuovi mezzi di comunicazione senza accorgerci che in realtà ne stavamo diventando prigionieri. La politica non si fa più nelle aule del parlamento ma digitando e la brevità del messaggio non impedisce anzi agevola il rischio di dire clamorose stupidaggini. Cosa che succede regolarmente anche ai nostri leader ma sembra proprio che nessuno se ne preoccupi. L’importante è esserci. Alla democrazia diretta basata sulla rappresentanza è subentrata ormai la democrazia della presenza in cui lo smartphone è una sorta di parlamento mobile grazie al quale si può dibattere sempre e dovunque. E magari anche quando sarebbe più opportuno tacere.
E’ evidente che la modernizzazione non si può fermare e tanto meno rifiutare. Ma spetta a un filosofo come Byunh-Chul Han sottolinearne gli eccessi e gli effetti non desiderati che provoca nel comportamento umano. Digitare fa sentire più liberi di esprimersi il che è vero ma fino a un certo punto perché in realtà si finisce con l’essere sorvegliati da tutti. Anche da chi non può o non vuole capire il nostro pensiero. La frenesia della comunicazione a ciclo continuo diventa quasi una forma di dipendenza. Il flusso incessante di dati e notizie rischia di stordire. E la rapidità con si deve interagire non va sempre a beneficio della capacità di riflettere. Basta vedere quello che succede in politica: meglio una risposta immediata che una più ragionata.
Il pericolo maggiore secondo Byung-Chul Han è che il ritmo frenetico della rete faccia perdere il senso della verità. Può darsi che il suo sia un eccesso di pessimismo. Però ha perfettamente ragione nel lanciare un allarme. L’informazione del XXI secolo non è più quella degli scoop a ogni costo ma quella delle fake news senza controllo e quasi sempre senza smentita. E’ una nuova forma di nichilismo in cui la verità prescinde dalla realtà. E sembra quasi che quello che si digita conti più dei fatti. In prospettiva sarà sempre più difficile orientarsi e capire quale sia la verità. Un esempio tragico viene dalla guerra in Ucraina: quasi impossibile distinguere tra le fake news e le informazioni attendibili e capire il vero andamento del conflitto. Poi certo ci si può compiacere con Elon Musk dei progressi dell’intelligenza artificiale ma non sarebbe male trovare un limite alla stupidità in carne e ossa.