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Deinfluencing

I consumatori si fidano più degli influencer o dei deinfluencer?

In tanti hanno salutato il fenomeno del deinfluencing, ovvero del demolire i prodotti pubblicizzati dagli influencer, come un moto di ribellione della comunità digitale che finalmente si libera dall'inquinamento del marketing pervasivo, ma di chi si fida veramente il consumatore? Il post di Mario Marchi

 

Se ne è parlato come della rivoluzione dei social, del sovvertimento di quell’ordine che vede gli influencer affermati protagonisti della comunicazione associata al marketing digitale. Parliamo del cosiddetto deinfluencing, ovvero della pratica di postare sui social network contenuti che siano esattamente l’opposto della promozione di prodotti, diretta o indiretta che sia. I deinfluencer, in pratica, sono i creator specializzati nel demolire prodotti, nella critica feroce, elencando difetti, non coerenza con le caratteristiche pubblicizzate altrove. Un gioco che diventa ancora più vivace quando, pur senza fare riferimenti espliciti, ad essere “depubblicizzati” sono prodotti trattati da influencer noti e molto seguiti.

In tanti hanno salutato il fenomeno come un moto di ribellione della comunità digitale che finalmente si libera dall’inquinamento del marketing pervasivo. In effetti il principale hashtag, diffuso trasversalmente su varie piattaforme, cioè #deinfluencing, è arrivato a livello globale a far registrare 300 milioni di condivisioni, alle quali vanno aggiunte quelle degli hashtag “fratelli”, come #deinfluencingitalia.

Difficile dire se si tratti di vera rivoluzione, perché la fluidità della comunità digitale e le sue dinamiche così appetitose per il marketing condizionano in fretta anche i comportamenti più spontanei. In effetti viene da chiedersi fino a quando i deinfluencer saranno disposti ad accontentarsi della popolarità, allontanando da sé la tentazione dell’ingaggio da parte di brand al fine di “deinfluenzare” sui prodotti concorrenti.

Resta il fatto che – comunque lo si voglia leggere – tutto si gioca su un dato sempre più evidente: i consumatori che frequentano i social hanno come punto di riferimento i “compagni di comunità”, molto più di chi è ormai passato dalla figura di utente a quella di testimonial.

La piattaforma canadese di comunicazione digitale visual CrowdRiff, ha diffuso a questo proposito uno studio che parla molto chiaro.

L’87% dei consumatori si fida delle recensioni e dei consigli di familiari e amici che hanno ricevuto un’esperienza del marchio, non solo, ma le recensioni dei consumatori sono ritenute attendibili ben 12 volte di più rispetto al marketing proveniente direttamente dalle aziende.

Una condizione rispetto alla quale sembra che nemmeno la potenza di fuoco in termini di qualità visiva del messaggio messa in campo dai professionisti, abbia effetto, visto che l’85% dei consumatori trova i contenuti “visual” generati dagli utenti più influenti delle foto o dei video del brand.

Un riscontro lo si ha, ad esempio, nel traffico su Youtube, piattaforma sulla quale i video generati dagli utenti ottengono 10 volte più visualizzazioni rispetto ai contenuti creati e caricati da un brand.

Del resto, l’opinione, almeno apparentemente spontanea del comune utente, risulta avere una influenza determinante nelle scelte d’acquisto indotte dai social, visto che il 71% afferma che le recensioni generate dagli utenti fanno sentire più sicuri nella decisione di acquistare un determinato prodotto rispetto a un altro.

Quindi “people have the power”? I numeri sembrano dire di sì, ma il marketing digitale è un piatto, davanti al quale le aziende non rimangono a guardare e soprattutto approfittano delle sue regole evanescenti e dinamiche mutevoli. Il futuro dei deinfluencer, ci dirà fino a che punto.

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