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Guerra fredda Cina-Usa nei videogiochi. Cosa c’è dietro la separazione tra Activision e NetEase

I dirigenti di Activision sarebbero stati minacciati da NetEase che avrebbe lasciato intendere di essere in grado di spingere il governo cinese a bloccare l'acquisizione di Microsoft a seconda dell'esito delle trattative sul rinnovo delle licenze per la distribuzione dei videogame Usa nel Paese asiatico

Chi segue da vicino il mondo dei videogiochi, specie dal lato finanziario, forse ricorderà che il comunicato stampa con cui la statunitense Activision – Blizzard annunciava, dopo 14 anni, la separazione dalla cinese NetEase, arrivò in una fredda sera di novembre, diramato alle 21, orario irrituale che lasciava trapelare sia l’intenzione di non danneggiare le contrattazioni in Borsa, sia il fatto che le trattative al di qua e al di là dell’oceano fossero proseguite fino all’ultimo. Con la rottura, nella seconda metà di gennaio i giocatori cinesi non hanno più potuto giocare ad alcune tra le serie videoludiche maggiormente iconiche del calibro di World of Warcraft, Hearthstone, Warcraft III: Reforged, Overwatch 2, StarCraft, Diablo 3, Heroes of the Storm e altri titoli della casa di Irvine.

NIENTE DEROGHE, NEMMENO PER WOW

In realtà, pareva che World of Warcraft, tra le etichette più famose di Blizzard, fosse la sola Ip del Gruppo destinata a essere inclusa in una deroga: “Stiamo attualmente portando avanti conversazioni con diversi nuovi e potenziali partner di distruzione in Cina, e continueremo così finché non avremo trovato una soluzione sostenibile”, aveva affermato qualche mese fa John Hight, general manager del franchise di Warcraft, in una dichiarazione riportata sul portale cinese Weibo.

Quindi Hight aveva pure aggiunto: “il team di World of Warcraft sta lavorando duro per creare una feature che permetta ai giocatori di salvare i propri personaggi, oggetti e progressi all’interno dei vostri dispositivi personali prima che il gioco vada fuori servizio il prossimo 23 gennaio”.

LA LEGGE CINESE CHE TIENE LONTANI GLI OCCIDENTALI

Invece l’iconico MMO è finito al di fuori della Grande Muraglia. Anche se pare impossibile data l’appetibilità del marchio, tutte le trattative esperite sono via via fallite e nemmeno si sono fatti avanti nuovi possibili partner che si sarebbero dovuti prendere l’impegno di continuare a distribuire il gioco.

Questo perché, esattamente come in tutti i comparti economici del Dragone, per penetrare nel mercato cinese le software house occidentali debbono stringere alleanze di distribuzione ad hoc con le omologhe cinesi, controllate dal governo.

In realtà, dalla fine del 2021 la Cina ha abolito tale norma in diversi settori, come per esempio quello automotive, lasciandola però sul fronte dei beni per l’intrattenimento, con ogni eventualità per controllare meglio i prodotti “in entrata” e censurarli tempestivamente prima della pubblicazione.

Perdere il distributore per un MMO come quello Blizzard significa perdere proprio la possibilità, per gli acquirenti, di giocare: chiusi i server diventa di fatto impossibile continuare a prendere parte al ‘gioco di ruolo di massa online’.

IL MESSAGGIO SIBILLINO DI ZHU

“I server di Blizzard Games sono stati chiusi proprio ora in Cina, e questo è un problema molto grande per i giocatori cinesi”, ha scritto il presidente di NetEase, Simon Zhusu LinkedIn. “Come giocatore, che è cresciuto e ha raggiunto la mezza età con quei meravigliosi giochi, sto scrivendo per rievocare quei bellissimi ricordi e mostrare il mio più sincero apprezzamento e la mia gratitudine nei confronti di quei creatori/sviluppatori (non importa se se ne sono già andati o se sono ancora in vita) che hanno realizzato i giochi più importanti della mia vita”.

In realtà Zhu a fine anno era stato assai più velenoso: “Un giorno, quando si potrà raccontare ciò che è accaduto dietro le quinte, gli sviluppatori e i giocatori avranno una comprensione del tutto nuova di quanti danni possa fare un cretino”, aveva scritto sempre via social.

COSA È SUCCESSO TRA ACTIVISION E NETEASE?

Quel giorno non è stato così lontano. L’autunno ha lasciato il posto all’inverno, l’inverno alla primavera e il New York Times è ritornato sul tema pubblicando un approfondimento che prova a fare luce sulla rottura tra Activision e NetEase. Un approfondimento che, tanto per cambiare, va ad arricchire con altri dettagli la principale telenovela del mondo videoludico: l’acquisizione di Activision da parte di Microsoft.

Secondo la testata, per capire cosa sia accaduto, bisogna tornare allo scorso ottobre quando si era svolta una riunione tra Activision Blizzard e NetEase. Una riunione andata malissimo: entrambe le parti si sarebbero di fatti alzate dal tavolo con “interpretazioni drasticamente diverse di ciò che era stato detto”, secondo quattro persone vicine al dossier e pure sulla base di un documento che il NYT ha potuto visionare.

LE ANTICHE RUGGINI TRA I DUE COLOSSI

Secondo la ricostruzione della testata newyorkese, le tensioni tra le due società si erano sviluppate prima del rinnovo del contratto, con i dirigenti di NetEase che ritenevano che il Ceo della compagnia americana avesse fatto “richieste irragionevoli” nel corso degli anni.

D’altra parte il Gruppo statunitense non aveva perdonato ai cinesi un episodio risalente al 2018 quando NetEase investì 100 milioni di dollari in Bungie per la realizzazione di giochi diversi da Destiny, facendo così slittare i contenuti in via di sviluppo collegati a quest’ultima proprietà intellettuale.

LA CONFERENCE CALL CON “MINACCE”

I rapporti insomma si erano deteriorati da parecchio, nonostante il fiume di denaro assicurato dalla distribuzione dei titoli Activision in Cina. A fare da detonatore, probabilmente, una conference call dello scorso ottobre in cui si parlò anche dell’acquisizione in ballo di Activision da parte di Microsoft tra l’Ad di Activision Bliizzard, Robert A. Kotick, e il suo omologo in NetEase, William Ding cui avrebbero preso parte anche altri dirigenti: ebbene, in quella circostanza i traduttori di Activision avrebbero ritenuto che Ding abbia “minacciato” Kotick.

I dirigenti americani avrebbero inteso che NetEase stesse vantandosi di poter influenzare il governo cinese – che in quel momento stava esaminando, come molte altre autorità globali, l’acquisizione – per spingerlo a bloccare l’affare, a seconda dell’esito delle trattative sulla licenza di distribuzione dei titoli Activision Blizzard e il Gruppo asiatico. Alexandru Voica, portavoce di NetEase, ha prontamente replicato al quotidiano della Grande Mela negando che Ding abbia minacciato Activision.

LE DICHIARAZIONI UFFICIALI

Tale versione fino a oggi era rimasta nell’ombra. Gli americani, probabilmente per non perdere realmente il favore di Pechino sull’acquisizione di Microsoft, non ne hanno mai fatto parola. Activision Blizzard, anzi ha sempre sostenuto che è stata NetEase a rifiutare un’offerta per estendere il suo accordo di pubblicazione in Cina. “È un peccato che NetEase non sia disposta a estendere i servizi del nostro gioco per altri sei mesi sulla base dei termini esistenti nel mentre cerchiamo un nuovo partner”, la dichiarazione ufficiale di Blizzard China.

Mentre NetEase ha sempre fatto riferimento a condizioni capestro: “Considerando le condizioni ineguali, ingiuste e di altro tipo legate alla cooperazione, le due parti non sono riuscite a raggiungere un accordo alla fine”. Quel che è certo è che, come riportato dalle pagine del South China Morning Post, i team di NetEase che gestivano i giochi Blizzard in Cina sono stati sciolti già prima che la rottura fosse dichiarata: la maggior parte dello staff è stato via via licenziato o riassegnato in altri reparti dell’azienda. Era rimasta in piedi solo un’esile squadra di dieci dipendenti per l’assistenza clienti in vista della chiusura dei server, poi trasferiti in altre divisioni di NetEase.

Diversi analisti ritenevano che Activision, alle prese come tutte le principali software house con la necessità di tirare i cordoni della borsa, fosse stanca di pagare dazio a NetEase per poter distribuire giochi nell’immenso Paese asiatico, tanto più che aveva già aperto diversi uffici in Cina. Questi nuovi dettagli, però, cambiano le prospettive.

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