Skip to content

Google

Google non intende aprire il suo Play Store: ricorso contro la sentenza che dà ragione a Epic Games

Dopo la batosta giuridica che scardinava il proprio Play Store, Google passa al contrattacco e chiede alla Giustizia americana di bloccare ogni effetto della sentenza di primo grado che dava ragione alla parte avversa, Epic Games. Fatti, ipotesi e argomentazioni più o meno credibili

Alcuni giorni fa un giudice distrettuale negli Stati Uniti aveva ordinato a Google di modificare il proprio servizio di distribuzione delle applicazioni per i dispositivi Android – noto come Google Play o Play Store – in modo da fornire più opzioni agli utenti. Una pronuncia storica che di fatto scardinava il monopolio di Mountain View nel settore.

EPIC GAMES E LA BATTAGLIA SU DUE FRONTI: APPLE E PLAY STORE

E, soprattutto, una vittoria piena per Epic Games, la software house fondata dallo sviluppatore Tim Swineey che ha deciso di investire buona parte delle cifre da capogiro intascate grazie al suo fortunatissimo videogame Fortnite tra avvocati e carte bollate, nel tentativo di aprire alla concorrenza i negozi digitali di Google e di Apple, entrambe agguerritissime pur di mantenere lo status quo.

 

 

FIOCCANO APPELLI, RICORSI E TENTATIVI DI RIMANDARE OGNI DECISIONE SFAVOREVOLE

Entrambe decise a dare battaglia tentando di battere ogni strada disponibile: dopo Apple che, secondo quanto riportato da Reuters, ha presentato una nuova istanza per chiedere l’annullamento completo della decisione contro Epic Games o, in subordine, la sua limitazione affinché produca effetti solo nei riguardi di Epic, anche Mountain View ha appena presentato un appello alla Corte d’Appello del 9° Circuito degli Stati Uniti, chiedendo (qui il documento) di “sospendere le proposte modifiche ad Android e Google Play” fino alla conclusione del processo.

 

 

COSA PREVEDE LA SENTENZA CHE DA’ TORTO A GOOGLE

La sentenza, che senza sospensiva dovrebbe produrre effetti giuridici a partire dal 1° novembre, obbliga Google a consentire ciò che invece ha sempre vietato: la possibilità per gli sviluppatori che intendono usare il Play Store come vetrina di comunicare agli utenti la disponibilità del proprio software anche al di fuori del negozio virtuale di Mountain View, prezzi alternativi inclusi (magari più bassi, senza i balzelli imposti da Google).

E non sarebbe una semplice informazione, del tipo, “ci puoi trovare altrove, a prezzi maggiormente concorrenziali”. No. Le terze parti sarebbero autorizzate a fornire nella propria pagina su Play Store il link per scaricare la medesima app da altre fonti. Inoltre, Google non potrebbe più richiedere l’uso del sistema di fatturazione Google Play nelle app distribuite sul Play Store o vietare l’uso di metodi di pagamento alternativi.

In sostanza, il giudice di primo grado si è mosso per rimuovere chirurgicamente tutti quei chiavistelli che di fatto blindavano il Play Store rendendolo un vero e proprio monopolio e portando Moutain View ad approfittarsi di tale situazione, eliminando ogni informazione sull’esistenza di piattaforme rivali che possono proporre prezzi migliori. Fino all’obbligo per il colosso del Web di distribuire app store di terze parti attraverso Google Play, con un termine di otto mesi per l’implementazione di queste modifiche.

LA REPLICA DI GOOGLE

Google, che aveva subito dichiarato la propria intenzione di ricorrere in appello, sostiene che la sentenza è “fatalmente viziata”, citando quelli che ritiene essere molteplici errori legali. L’azienda prova poi a usare il doppio fronte scatenato da Epic Games a proprio vantaggio, sottolineando l’incongruenza della decisione rispetto al caso Epic versus Apple, in cui Cupertino, che pure richiede che tutte le app vengano veicolate attraverso il suo App Store proprietario, non è stata però considerata monopolista.

NON SI PUO’ LAVORARE BENE SE SI LAVORA IN FRETTA

Google poi frena sulle tempistiche entro le quali la giustizia statunitense le ha imposto di adempiere: le settimane concesse per adempiere sarebbero troppo poche e a suo dire creerebbero un “rischio inaccettabile di fallimenti di sicurezza nell’ecosistema Android”, citando recenti incidenti causati proprio dalla necessità di “muoversi troppo velocemente”.

QUALCHE NUMERO DEL PLAY STORE

Nel motivare le proprie ragioni il colosso rivela che ci sono “più di 100 milioni di utenti statunitensi di dispositivi Android” e “oltre 500.000 sviluppatori statunitensi” al fine di sottolineare la portata dell’impatto potenziale di queste modifiche, anche se tali numeri potrebbero ribadire la propria indiscutibile posizione dominante sul mercato. Insomma, la sua natura da “gatekeeper” per usare la terminologia del Dma sulla concorrenza varato in Europa.

Torna su