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Google Ue

Google, Facebook, editori. Chi sbraita di più contro il governo sul copyright?

Fatti, commenti e analisi di esperti e addetti ai lavori sulla bozza di decreto di recepimento della Direttiva Ue 2019/790 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale

Subbugli digitali sul copyright all’italiana.

Ecco che cosa sta succedendo.

Le modalità di recepimento della Direttiva Copyright in Italia rischiano di trasformarsi in un boomerang per gli editori delle testate online e di quelle specializzate: questo l’allarme lanciato da Anso (Associazione Nazionale Stampa Online) e Anes (Associazione Nazionale Editoria di Settore) in una lettera ai ministri della Cultura Dario Franceschini e della Trasformazione digitale Vittorio Colao.

E’ quanto ha rilevato nei giorni scorsi il Corriere delle Comunicazioni.

“Il recepimento dell’articolo 15 della Direttiva Copyright non incentiva lo scambio di valore tra le piattaforme digitali e gli editori, ma al contrario tende a creare vincoli eccessivamente stringenti e a favorire la grande editoria generalista a discapito dei soggetti più piccoli, locali, tecnico-professionali e specializzati e online, producendo asimmetrie di mercato e rischiando di generare ingenti danni al comparto nel suo complesso”, hanno evidenziato le due associazioni in riferimento al testo sul quale il Ministero della Cultura e il Dipartimento per l’editoria hanno condotto un giro di audizioni.

Secondo Anso e Anes, non lasciare agli editori “la libertà di scegliere se concludere o meno accordi con le piattaforme” o di fatto limitare la possibilità di fornire licenze gratuite riduce “non soltanto l’autonomia degli editori sancita dalla Direttiva ma rischia di porre un grave freno allo sviluppo di quelle imprese che intendono sfruttare al massimo le opportunità offerte dal digitale.” Viene inoltre criticata l’inclusione delle imprese editoriali televisive “tra i soggetti a cui viene riconosciuto il diritto connesso”.

Netto anche il giudizio sul ruolo “arbitrale” affidato ad Agcom, che “rischia di ‘appiattire’ il mercato e annullare le differenze anche di natura tecnologica tra i diversi player che il mercato libero e la libera negoziazione invece valorizzano, vanificando gli enormi sforzi che gli editori nativi digitali e gli editori che hanno investito nell’integrazione tra offerta tradizionale e digitale hanno messo in campo negli ultimi anni per essere tecnologicamente all’avanguardia e disincentivando di fatto l’innovazione per i prossimi anni.” Anche i criteri che Agcom dovrebbe prendere in considerazione per la determinazione dell’equo compenso, secondo gli editori locali, tecnico-professionali e specializzati “rischiano di penalizzare gli editori nativi digitali”.

“Il nostro comparto non ha bisogno dell’imposizione di vincoli alla libertà di scelta e iniziativa economica e contrattuale degli editori ma piuttosto di veder valorizzati gli sforzi compiuti dalle singole imprese per una maggiore innovazione e digitalizzazione, nonché di incentivi per continuare a perseguire tali obiettivi e investire su nuove risorse e infrastrutture che permettano alle imprese di competere efficacemente sul mercato”.

A muoversi negli ultimi giorni, con editoriali sulla stampa e interviste sul web è anche un docente universitario esperto della questione, Giuseppe Colangelo, coordinatore scientifico dell’istituto di ricerche Deep-In.

“Non resta che sperare nell’intervento del Consiglio dei ministri per correggere tale impostazione e ricollocare la disciplina italiana nell’ambito della cornice europea, prima che lo faccia la Corte di giustizia”, ha scritto oggi sul Corriere della Sera Colangelo, presentandosi come professore associato di Diritto dell’economia e Jean Monnet Chair in Eu Innovation Policy (Università della Basilicata), Ttlf Fellow (Stanford Law School) e professore aggiunto di Markets, Regulations and Law (Luiss)

Anche Colangelo fa riferimento alla bozza di decreto di recepimento della Direttiva 2019/790 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale; la bozza di prossima discussione in Consiglio dei ministri “si poggia su un presupposto errato: la Direttiva non introduce un obbligo di negoziazione tra le parti, bensì prevede il riconoscimento di un diritto connesso quale lo strumento essenziale per favorire la concessione di licenze e garantire al contempo la necessaria flessibilità alle parti. Questo emerge chiaramente dallo spirito e dal testo della norma europea ed è stato inequivocabilmente confermato dal Commissario Breton in una interrogazione parlamentare”, ha criticato il professore.

“Da tale errato presupposto discendono a cascata una serie di previsioni che sono del tutto assenti nel testo della Direttiva e completamente avulse rispetto alla cornice normativa delineata da quest’ultima. In particolare, si fa riferimento alla introduzione di un arbitrato in capo ad AgCom e alla previsione di un equo compenso – ha aggiunto Colangelo – Tali previsioni, in realtà, segnalano come il modello al quale la proposta in esame si è ispirata non è quello europeo, bensì il codice australiano di negoziazione obbligatoria. Peccato, però, che la soluzione australiana prescinda dal diritto d’autore, collocandosi dunque al di fuori del perimetro delineato dalla Direttiva europea e caratterizzandosi, invece, come un intervento regolatorio di matrice concorrenziale”.

“Il riferimento all’equo compenso che spetterebbe agli editori è una ulteriore previsione del tutto estranea alla norma europea, la quale, invece, prevede tale misura a carico degli editori e in favore di autori e interpreti – ha aggiunto Colangelo sul Corriere della Sera – Perplessità emergono anche con riferimento a una definizione troppo stretta di quello che costituirebbe un «breve estratto», ossia la principale eccezione al diritto connesso, assieme agli hyperlinks e alle singole parole. È lecito, infatti, ritenere che quella di breve estratto (al pari di quella di best efforts di cui all’art. 17 della Direttiva) sia da considerarsi una nozione europea, sottratta quindi alla «creatività» dei legislatori nazionali.”

Eppure, ha rimarcato Colangelo in un’intervista a Formiche.net, “l’Italia si è impegnata a non deviare troppo dal solco europeo, soprattutto in un caso come questo sarebbe meglio essere chiari e uniformi. C’è il rischio, direi la certezza, che la norma sarà impugnata, sia alla Corte di Giustizia Ue che alla Corte Costituzionale, visto che gli interessi in gioco sono enormi. Il governo è stato investito dal Parlamento a tutelare i diritti degli editori (etichetta ampia) e a definire meglio il concetto di breve estratto, ovvero di quale parte dell’articolo è legittimo pubblicare sulle piattaforme senza dover negoziare un compenso. Lo schema che abbiamo davanti non solo è contrario alla direttiva ma eccede la delega”, ha concluso Colangelo, coordinatore scientifico di Deep-In, istituto di ricerche promosso da I-Com (che ha tra i sostenitori anche Google) che nel cv alla sezione “grants, awards and research project” indica anche “Facebook (research on the national implementation of the Directive on copyright in the Digital Single Market, 2021; € 15,000)”.

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