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Come si muoverà l’Italia (con la Francia) sull’Intelligenza artificiale

Fatti, nomi e report sulla partecipazione del governo italiano alla Conferenza multistakeholder G7 sull'intelligenza artificiale, promossa dal governo canadese durante i lavori del vertice G7 di Charlevoix.

Il governo italiano ha presentato lo studio “The future of work – skills for the modern economy” in occasione della Conferenza multistakeholder G7 sull’intelligenza artificiale, promossa dal governo canadese durante i lavori del vertice G7 di Charlevoix.

L’intelligenza artificiale o AI è considerata una tecnologia dall’impatto positivo perché, si legge nel paper, “AI e automazione possono accrescere la produttività e di conseguenza la crescita globale del Pil. Possono aiutare la scoperta scientifica, generare un circolo virtuoso tra nuovo sviluppo e nuova crescita. Cogliere le opportunità e gestire la possibile transizione nella forza lavoro, costruire codici di condotta etici per le applicazioni e, in generale, evitare la polarizzazione delle risorse è una grande sfida da affrontare per i governi”. L’impatto sul lavoro va attentamente studiato perché potrebbe essere più incisivo di quello prodotto da precedenti rivoluzioni industriali.

POTENZIALITA’ E LIMITI DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Il paper cita uno studio di McKinsey Global Institute secondo cui, su 820 lavori diversi, solo il 5% è completamente sostituibile dalle macchine intelligenti; tuttavia, il 60% dei ruoli ha un 30% di mansioni automatizzabili. L’adozione dell’AI al posto del lavoro umano dipende però non solo dalla fattibilità tecnica, ma anche dai costi, dalle dinamiche del mercato del lavoro, dal quadro regolatorio e dall’accettazione sociale.

I settori industriali in cui l’automazione può avere applicabilità e produrre risultati sono l’analisi dei dati e dei testi, l’ingegneria, la manifattura, la genetica, i trasporti e l’analisi del cambiamento climatico.

Ci sono anche dei limiti al pieno impiego dell’AI, come gli alti costi computazionali per istruire gli algoritmi intelligenti; la necessità di un volume enorme di dati catalogati, sempre allo scopo di istruire le macchine; la mancanza di metodi accurati per valutare la reale applicabilità; la mancanza di una solida base teorica per lo sviluppo delle architetture applicative.

COME CAMBIA IL LAVORO

Alcuni compiti potrebbero essere automatizzati del tutto, altri solo parzialmente: le mansioni saranno suddivise tra uomo e macchina. Il lavoro cambierà dunque a livello organizzativo perché potremmo avere colleghi-robot, oppure potremmo ritrovarci più soli in ufficio o nello stabilimento. Potremmo dover dare conto in modo diverso delle decisioni operative e strategiche perché le baseremo non solo sulle nostre conoscenze e intuizioni ma anche sui risultati di un algoritmo (supporto dell’AI al decision-making).

Le mansioni completamente svolte con l’intelligenza artificiale potrebbero non essere dell’immediato futuro. Lo studio ritiene questo settore non del tutto maturo; per esempio, nel caso della guida autonoma la tecnologia è giudicata per ora non pronta perché i veicoli possono muoversi da soli in condizioni controllate ma non nel traffico caotico delle città.

Una supervisione dell’essere umano sull’AI potrebbe essere sempre necessaria – almeno per il futuro prevedibile – sia per motivi tecnici che di accettazione sociale (come nel caso del robot-infermiere). L’essere umano sarà sempre fondamentale nella fase di ricerca e sviluppo, programmazione, test, validazione, intervento in caso di errori.

LA DELOCALIZZAZIONE

Un rischio concreto è, secondo lo studio italiano presentato al G7, la delocalizzazione, che non sarà più verso i paesi dove la manodopera costa meno ma verso quello dove è disponibile l’infrastruttura tecnologica specializzata che serve alle applicazioni AI. Il trend sarà massimo nell’industria manifatturiera, che potrebbe finire concentrata in pochi impianti produttivi di larga scala collocati laddove le imprese possono operare efficientemente grazie all’infrastruttura digitale più efficiente. Faranno eccezione i lavori che non possono prescindere dalla localizzazione e dalle interazioni personali, come sanità, giustizia, istruzione, edilizia, manutenzione, trasporto pubblico, turismo, alimentare.

LA SFIDA DELLA FORMAZIONE

Il paper non ha previsioni certe, ma indica che l’impatto dell’AI sul lavoro ci sarà e sarà veloce e pervasivo. La formazione continua e la riqualificazione saranno percorsi obbligati ma anche sempre più complessi: la tecnologia avanza a passi rapidissimi. Saranno sicuramente creati nuovi posti di lavoro, ma verranno distribuiti in modo diverso e difficilmente prevedibile tra imprese, settori produttivi, nazioni. Un altro problema concreto da affrontare sarà l’interazione uomo-macchina.

Per gestire anziché farsi travolgere dall’AI l’importante è puntare sulla democratizzazione dell’AI, per esempio mettendo a disposizione di tutti le componenti delle tecnologie di intelligenza artificiale: l’accesso ai dati è cruciale per ricercatori e scienziati, mentre l’accesso agli algoritmi serve a tutti coloro che sono interessati a sperimentare con queste tecniche.

TROPPA AMERICA NELL’AI

In questo approccio multilayer che coinvolge esperti e società civile allo stesso modo, lo studio sottolinea che al momento nello strato degli scienziati e degli accademici esiste uno squilibrio: il fulcro della ricerca scientifica e tecnologica sull’AI si trova in Nord America, dove si è formato un ecosistema per ora ineguagliato di università, imprese private e capitali. Il paper che il Mise ha presentato al G7 dice che la comunità internazionale deve attivare “investimenti ambiziosi per svolgere un ruolo attivo nello sviluppo del settore dell’AI”. Una possibile iniziativa è la creazione di centri di ricerca congiunti dedicati all’AI che mettono insieme ricercatori internazionali dei settori pubblico e privato per stimolare la realizzazione di progetti pilota e l’innovazione in genere.

UN NEGOZIO PER TUTTI

Sulla democratizzazione dell’AI lo studio suggerisce anche la creazione di un “one-stop shop” dell’AI dove chiunque accede a software, hardware, dati, conoscenze, esempi di applicazioni, anziché semplicemente comprare soluzioni AI. Più il negozio unico sarà aperto (in termini di open data, open science, open source), meglio sarà per i cittadini: abbassare le barriere all’ingresso dell’intelligenza artificiale vuol dire abbassare costi, tempi e risorse necessarie e così favorire l’adozione. I governi e le organizzazioni internazionali dovrebbero anche prestare attenzione ai temi legali e della privacy connessi con lo sviluppo dell’AI. Dovrà essere promosso l’utilizzo dell’AI ma con un occhio sempre vigile (AI “with care”), pur senza ostacolare lo sviluppo tecnologico o la crescita del mercato.

CHI C’ERA PER IL MISE

Ai lavori del G7 per la delegazione italiana del Mise è intervenuto Carmine America, consigliere per le Relazioni internazionali del ministro Luigi Di Maio. Il paper sull’AI è stato realizzato dai professori Massimo Maresca dell’Università di Genova, Giorgio Metta dell’Istituto Italiano di Tecnologia e Giuseppe Attardi dell’Università di Pisa. Per la parte francese, gli autori sono Salima Benhamou, dipartimento Travail-Emploi-Competences di France Stratégie del governo francese, e Nicolas Vayatis della Ecole Normale Supérieure Paris-Saclay.

STARTUP E IMPRESE ITALIANE AL G7

Della delegazione italiana ha fatto parte un gruppo di esperti, accademici e rappresentanti del mondo dell’impresa e delle startup italiane operanti nel settore AI. Fra le startup ha partecipato al G7 BigProfiles, nata nel 2016 da ricercatori dell’Università degli Studi Roma Tre e finanziata prima dal programma di accelerazione di Luiss Enlabs e poi dai fondi di investimento Invitalia Venture ed LVenture Group.

Tra le imprese era presente Almawave, società del gruppo Almaviva che da un decennio si occupa di intelligenza artificiale nel campo del Nlp (Natural language processing), ovvero elaborazione del linguaggio naturale sia scritto che parlato. La ceo di Almawave Valeria Sandei ha sottolineato il livello del confronto internazionale, con la partecipazione dei “guru mondiali dell’AI, Geoffrey Hinton, detto il God Father del Deep learning, e Yoshua Bengio – racconta Valeria Sandei -. Particolare accento è stato dedicato all’impatto dell’intelligenza artificiale sul mondo del lavoro. Tema che ha visto protagonista l’Italia nell’avviare il confronto e guidare il workgroup attraverso un paper di riferimento, presentato assieme alla Francia, utile ad impostare le linee guida delle agende in materia dei Paesi del G7″. Grande attenzione anche “sull’incremento degli investimenti e sulle attese di crescita del Pil legate all’impiego dell’intelligenza artificiale”.

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