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F-35, ecco come Aeronautica e Marina si contendono gli F-35 Stovl

L'approfondimento di Silvio Lora Lamia per Analisidifesa.it

Il 2019 sarà un anno importante, anche se non risolutivo, per la sorte degli F-35 destinati all’Aeronautica Militare e alla Marina Militare.

Con lo studio sui costi e benefici del programma in mano del presidente del Consiglio da gennaio ma a tutta metà febbraio ancora chiuso in un cassetto – secondo dossier politico dopo l’indagine conoscitiva parlamentare del 2013 -, ora il nodo da sciogliere è la contesa fra le due forze armate per la distribuzione e poi la gestione e l’impiego dei 30 esemplari (15 a testa) della versione STOVL del Joint Strike Fighter.

L’Aeronautica intende costituire sulla sua base di Amendola, dove schiera già un primo Gruppo di Volo con l’F-35A a decollo convenzionale, una secondo reparto con i suoi F-35B, lo stesso aereo chiesto dalla Marina. Il Gruppo sarà interforze, cioè impiegato tanto dall’Aeronautica quanto dalla Marina, ma avrà una sola “targa”, quella dell’AM. Tutto nasce tre anni fa dalla decisione salomonica presa in veste di “arbitro” della rinnovata querelle fra le due forze armate sui velivoli da combattimento imbarcati, dal generale dell’Esercito Claudio Graziano, fino al 2018 Capo di Stato Maggiore della Difesa.

Gli ammiragli ringraziarono, ma masticarono amaro, per motivi tanto di ordine ideologico quanto pratico. Temevano di dover recitare un ruolo subordinato in questo assetto bi-forza armata, loro che per primi avevano messo a fuoco i vari programmi anglo-americani che avrebbero poi portato al sostituto degli Harrier. La Marina non voleva essere in qualche modo deprivata dei suoi skill esclusivi dell’uso aeronavale degli STOVL, ma soprattutto non comprendeva/approvava la particolare filosofia di impiego degli F-35B dell’Aeronautica.

Per questo futuro assetto interforze i due Stati Maggiori si stanno affrontando su ripartizione e/o commonality di ruoli operativi e risorse tecnico-logistiche, collaborazione nell’addestramento, condivisione e gestione di risorse umane, addestrative, e quant’altro. Le questioni da dirimere sono tante, per varie e diverse ragioni.

Non ultima la natura e l’intento più o meno sottaciuti di “compromesso/contentino” che sta alla base della costituzione di questa unità “mista”. L’Aeronautica si vede soddisfare il discusso/osteggiato requisito di disporre di F-35 STOVL da operare oltremare da basi più o meno austere prossime al teatro d’operazioni, ma anche da non meglio precisate piste “corte” (in ogni caso, come accade per esempio in Norvegia, anche l’F-35 convenzionale può staccare le ruote in meno di 1.000 metri).

Per la Marina il fatto di disporre di ulteriori STOVL, anche se non con le insegne dell’Aviazione Navale, rappresenta pur sempre una qualche compensazione per la riduzione dei suoi aerei da 22 a 15 a causa del taglio della commessa complessiva iniziale da 131 aerei 90. Insomma una soluzione compromissoria, “alla democristiana”, potenzialmente foriera in uguale misura di benefici e di guai, e comunque fondata su problematiche, reciproche concessioni.

Un’altra ragione – solo apparentemente più prosaica – delle incertezze attorno a questo reparto bi-forza armata è quella dei tempi e modalità del suo equipaggiamento.

Il continuo tira e molla sul programma ne farà inevitabilmente slittare la costituzione prima, e l’operabilità poi – si possono stimare 6-8 anni. L’esecutivo Lega-M5S, aldilà di una riduzione tout court, non è in grado di farsi una idea precisa di come proseguire e concludere un procurement che tra l’altro condiziona anche investimenti altrettanto decisivi per la Difesa.

Tutto questo con buona pace delle industrie coinvolte, per le quali, a fronte del rallentamento degli ordini, ci si ostina inconcepibilmente a reclamare di default dagli Stati Uniti i massimi ritorni possibili. Noi rallentiamo e chissà forse riduciamo un pochino gli ordini, ma voi dateci le stesse commesse.

Con gli F-35A e -B comperati e già completati (14), gli esemplari per i quali il precedente governo ha cominciato a pagare gli anticipi (13), e gli ulteriori anticipi che già da quest’anno siamo chiamati a versare per avviare la nostra quota di produzione full rate che partirà nel 2021, avremo già portato a casa più di un terzo di quei 90 aerei.

Aeroplani che per stare al passo con quelli americani e di altri paesi, dal 2021-2022 in avanti, al di là dei già programmati upgrade biennali del software (che Lockheed Martin sta spingendo perché diventino semestrali), dovranno essere radicalmente ammodernati (programma Continuous Capability Development and Delivery, o C2D2) ma ancor prima “aggiustati” per via dei difetti che la loro configurazione ancora comporta – per non parlare della necessaria, parziale riprogettazione del sistema logistico ALIS. La spesa sarà molto alta e vedremo quanti soldi saranno all’uopo stanziati nel nuovo Documento di Programmazione Pluriennale della Difesa.

Il tira e molla comunque durerà. La Marina reclama per sé, cioè per il suo Gruppo di volo attualmente montato sugli Harrier II Plus, la maggior parte dei prossimi F-35B. Il motivo è che l’addestramento in mare e la stessa implementazione dell’operatività a bordo della portaerei Cavour richiedono un maggior numero di attività tecnologiche e umane di quelli su una base terrestre.

Da qui la precedenza che le era stata accordata nei piani iniziali di produzione-consegne degli STOVL. Ma la novità del nuovo gruppo bi-forza armata potrebbe scardinare i suoi piani, che fino all’autunno scorso prevedevano il rapido rientro in Italia dei tre velivoli “addestratori”. Anche l’Aeronautica però ha le sue priorità, e s’è portata avanti: ad Amendola ha già predisposto le infrastrutture necessarie a ricevere i 15 STOVL, mentre nella base di Grottaglie dell’Aviazione Navale i lavori per accogliere i 15 F-35 “tutti Marina” (già spesi 20 milioni) sono sospesi da almeno due anni. La precedenza ora ce l’ha l’Aeronautica.

 

Estratto di un articolo pubblicato su Analisidifesa.it

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