Sempre più spesso, sia in televisione che su internet e carta stampata, assistiamo a spot pubblicitari di prodotti sanitari e parafarmaceutici – come farmaci, assorbenti, slip per incontinenza – che, pur essendo legittimi e necessari, vengono presentati senza rispetto e con poco decoro. Questi messaggi arrivano a ledere o irridere la dignità e la sessualità di uomini e donne, senza che nessuna autorità — né il Parlamento, né gli organismi competenti — intervenga per tutelare il decoro e rispetto.
Il concetto di decoro sembra essere considerato superato, quasi un dettaglio trascurabile, perché coinvolge entrambi i sessi e quindi “va bene così”. Non si tratta di pubblicità che informano in modo sobrio e rispettoso su prodotti necessari, ma di messaggi che, con linguaggi visivi e testuali, trattano temi delicati legati all’intimità e alla salute in modo poco rispettoso in orari oltretutto poco indicati (prime time pubblicità che equivale “ore pasti”).
A livello italiano, il peso della pubblicità farmaceutica non è affatto trascurabile: nei primi sei mesi del 2024, i farmaci da banco da soli hanno occupato il terzo posto tra i settori più investiti, con circa 135 milioni di euro Brand News. In un contesto così in espansione, la necessità di una comunicazione rispettosa è fondamentale.
ESEMPI
Esempi concreti non mancano. Alcuni spot di slip assorbenti per uomo, ad esempio, sviliscono la figura maschile e la sua sessualità: il termine “perdite urinarie” potrebbe essere trattato in modo più rispettoso, e l’immagine di un uomo che veste solo gli slip per l’incontinenza non trasmette virilità. Anche l’immagine di una giovane donna seduta sul water per parlare di incontinenza urinaria risulta poco rispettosa. Analogamente, molte pubblicità di assorbenti femminili potrebbero adottare un linguaggio e un approccio più delicati. Parlare di “tabù” per promuovere questi prodotti durante scene sportive appare fuori luogo, dato che non esiste un reale tabù in tal senso. In altri casi, si tende alla provocazione, con il rischio di sfociare persino nel cosiddetto “trash marketing”.
In un’epoca in cui si moltiplicano campagne contro stereotipi, sessismo e “body shaming”, certi settori pubblicitari sembrano immuni a queste sensibilità e anzi mostrano peggioramenti, segno di una società in crisi anche sotto il profilo culturale. Alcune campagne ignorano che una comunicazione rispettosa e sobria potrebbe essere altrettanto efficace, se non di più. Mancano gentilezza, buon gusto e rispetto anche verso chi affronta problemi di vario tipo, spesso trattato nelle stesse pubblicità come un soggetto da evitare, quasi fosse causa di imbarazzo o fastidio.
Ad oggi mancano interventi decisi o linee guida aggiornate che fissino limiti chiari tra un’informazione sanitaria corretta e un intrattenimento di cattivo gusto. Informare è fondamentale, ma mai a scapito della dignità delle persone.
NORMATIVA EUROPEA E ITALIANA
In Europa esistono leggi che tutelano questo principio, anche se il concetto di “decoro” viene spesso ricompreso in termini più ampi come “dignità umana” o “rispetto del pubblico”. Ogni Paese decide come applicare queste norme. La Direttiva 2010/13/UE sui servizi di media audiovisivi, modificata dalla 2018/1808, vieta pubblicità che ledano la dignità umana o contengano discriminazioni, stereotipi offensivi o danni allo sviluppo dei minori.
In Italia, il Testo unico sui servizi di media audiovisivi (D.Lgs. 208/2021) recepisce la direttiva europea vietando messaggi che offendano la dignità umana o possano nuocere ai minori.
ORGANISMI DI CONTROLLO IN ITALIA
Non mancano neanche gli organismi di controllo: l’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) e l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) sono gli enti preposti al controllo della pubblicità.
Nel dettaglio, l’IAP è un ente privato che gestisce un Codice di Autodisciplina con articoli dedicati a dignità, decenza e rispetto del pubblico, mentre l’AGCOM è un’autorità pubblica indipendente che può ordinare il ritiro di spot e comminare sanzioni. L’IAP può solo chiedere la modifica o il ritiro di uno spot che viola il Codice, ma non ha potere di legge né sanzioni effettive; chi non aderisce può ignorare le sue decisioni. L’AGCOM invece applica la normativa di legge e dispone obblighi legali, ma i suoi interventi sono spesso lenti e non esiste un capitolo specifico sul decoro, solo riferimenti generali a dignità e tutela dei minori.
MODELLO FRANCESE
Il confronto internazionale mostra modelli più solidi. In Francia, ad esempio, il Code de la Publicité prevede un capitolo dedicato a dignità e decoro, con obblighi chiari per le aziende. Il Conseil Supérieur de l’Audiovisuel (CSA) ha facoltà di intervenire rapidamente, ordinando il ritiro degli spot non conformi.
In Italia, invece, il concetto resta affidato al buon senso degli inserzionisti o a richiami generici alla “dignità umana”.
In un Paese che invecchia – l’Istat segnala che oltre il 23% della popolazione italiana ha più di 65 anni e che la quota crescerà fino a quasi un terzo entro il 2040 – e dove questi prodotti diventeranno sempre più diffusi, non bastano richiami generici: serve un vero salto di qualità, con un Codice nazionale della pubblicità, vincolante e applicato con rapidità ed efficacia, capace di distinguere tra corretta informazione sanitaria e spettacolarizzazione. Il rispetto non è un dettaglio formale, ma il presupposto minimo di una comunicazione matura e di una società civile.