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Spid

Ecco il piano (piano piano) del governo su Spid e Cie

Il governo Meloni disinnesca lo switch off di Spid e cerca l'accordo coi fornitori del servizio, che vogliono iniziare a guadagnare. Si va verso l'unificazione con Cie, ma i tempi paiono parecchio lunghi. Che cosa ha detto il sottosegretario Butti

 

Non si andrà allo scontro con i fornitori di Spid. Questo, almeno, è quanto emerge dall’intervista che Alessio Butti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Innovazione tecnologica e senatore di Fdi, ha rilasciato al Sole 24 ore.

LA CORSA DEL GOVERNO PER NON CHIUDERE SPID

Ma procediamo con ordine. Il 23 aprile 2023 scadranno le concessioni per Spid. Sì, perché Spid non si regge in piedi da solo, ma per ottenere le credenziali occorre rivolgersi a uno dei gestori di identità digitale abilitati da AgId.  In vista della scadenza primaverile, il 20 febbraio l’Agenzia per l’Italia digitale, com’è noto posta direttamente sotto la presidenza del Consiglio, ha convocato un incontro con i gestori di Spid per affrontare il tema dei rinnovi.

Ma le aziende intendono arrivare all’appuntamento agguerrite, sostenendo di non voler più farsi carico dei costi e chiedendo in merito aiuti all’esecutivo. In caso contrario, potrebbero essere le aziende a sfilarsi dall’accordo e a mandare a carte 48 la delicata partita delle concessioni. In scadenza quelle con Aruba, Infocert, Intesa (gruppo Kyndryl), Lepida, Namirial, Poste Italiane, Register, Sielte, Tim, ecc…

COSA CHIEDONO I GESTORI

Wired, che in merito ha sentito alcuni diretti interessati, riporta che i gestori, riuniti nell’associazione di categoria Assocertificatori (l’associazione che unisce gran parte degli undici provider: Aruba, Tim, Register, Infocert, Namirial, Poste, Sielte, Intesa, TeamSystem, Lepida ed Etna), mugugnano soprattutto sul punto della gratuità di Spid per i cittadini: “La spesa di attivazione e gestione è a carico delle società autorizzate a rilasciare le identità digitali, che però lamentano da tempo l’onere e chiedono sostegni per tenere in piedi il sistema. La cifra circolata tra gli addetti ai lavori è di 50 milioni di euro l’anno, per un servizio che affilia 12mila enti pubblici”.

“I gestori – riporta il Fatto – sembrano intenzionati a concedere una ulteriore proroga dietro un compenso che renda il servizio sostenibile anche per loro e possibilmente proveniente da una quota dei fondi del Pnrr”. Le aziende starebbero guardando a quei 600 milioni di euro arrivati dalla Ue per permettere al nostro Paese di digitalizzare il dialogo con la Pubblica amministrazione. Di fatto chi finora ha investito nella Spid lo ha fatto a fondo perduto, per questo adesso chiede allo Stato una cifra tra l’euro e cinquanta e i due euro a utente registrato. Da prendere appunto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.

L’INCONTRO CON BUTTI

Nelle ultime ore il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Innovazione tecnologica ha convocato AssoCertificatori. E a quanto pare è tornato il sereno nei cieli dell’identità virtuale, dato che dopo le nubi minacciose addensate dallo stesso Butti a dicembre, ora l’esecutivo pare voglia «lavorare a un’intesa nel miglior interesse di cittadini e imprese» e rinnovare le convenzioni, in scadenza il 23 aprile dopo l’ultima di una serie di proroghe.

In realtà, come avevamo anticipato, il governo prende tempo. Per una exit strategy ordinata, che non mandi nel caos oltre la metà della popolazione (34 milioni di identità digitali), serve tempo, così da spegnere Spid e traghettare tutto il database altrove. E’ lo stesso Butti a farlo capire: «tre strumenti di identità non semplificano la vita e costano allo Stato». Dove si vada, però, è ben poco chiaro.

Al momento, dice sempre il sottosegretario che ha il dossier di Spid sulla scrivania che «è in corso una valutazione economica dei costi sostenuti e lavoriamo a un’intesa nel migliore interesse di cittadini e imprese». E questo perché si vuole in tutti i modi evitare lo spegnimento improvviso del sistema. Quanto al futuro di Spid e sull’intenzione di convergere nel lungo periodo su un sistema unico di identità digitale nazionale Butti chiarisce: «Malgrado qualcuno abbia inteso equivocare le mie parole, ho parlato chiaramente della necessità di razionalizzare gli strumenti di identità digitale per avvicinarci al quadro europeo e semplificare la vita a cittadini e imprese. Non credo che la questione dovrebbe dividerci tra tifoserie. Tre strumenti di identità non semplificano la vita e costano allo Stato. Noi abbiamo un percorso di identità digitale europeo in fase avanzata, che dobbiamo non solo seguire ma altresì anticipare per consentire ai cittadini italiani, il più velocemente possibile, di dialogare agevolmente con le pubbliche amministrazioni italiane ed europee. Occorre trovare un accordo tra tutti i soggetti coinvolti, e con grande attenzione sotto l’aspetto giuridico, tecnico e tecnologico, rapportandoci con l’Europa».

Insomma, si calcia la palla lontano, nella consapevolezza che c’è molto da fare e riorganizzare e che già allo stato attuale, nella migliore delle tradizioni nostrane, la confusione è tanta, anche sul fronte del principale rivale di Spid, cioè Cie la cui «situazione varia da Comune a Comune – ammette Butti, con riferimento al costo per gli utenti -. Dobbiamo lavorare insieme a loro per ridurre le tempistiche di rilascio e semplificare l’utilizzo della Cie, mutuando quanto di positivo è emerso finora».

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