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Pensare

E se invece di commentare sempre per primi sui social ci fermassimo un attimo a pensare?

L'intervento di Isabella Corradini, psicologa sociale ed esperta di human factors&digital awareness, Direttore Scientifico di Themis, centro ricerche socio-psicologiche e criminologico-forensi, e co-fondatrice del Link&Think Research Lab, laboratorio di ricerca interdisciplinare focalizzato sugli aspetti sociali dell’innovazione digitale

 

In questi giorni sta tenendo banco la notizia del blocco del Garante per la protezione dei dati personali rispetto all’uso di ChaptGPT, lo strumento di elaborazione del linguaggio naturale basato su intelligenza artificiale, capace di svolgere diverse funzioni, tra cui rispondere a domande poste dall’utente o scrivere/riepilogare testi che gli vengono richiesti.  Non entro nel merito della decisione del Garante, pur avendo una mia opinione al riguardo, perché non è questo l’aspetto che voglio far emergere in questo articolo.

Ciò che voglio evidenziare invece, è che a oggi, soprattutto nel dibattito su temi come l’innovazione digitale, sembra che la tendenza principale sia quella di “gettarsi nella mischia” rimuovendo completamente il momento della riflessione, necessaria per poter fare delle valutazioni ragionate. Eppure sappiamo come le tecnologie digitali stiano producendo rilevanti cambiamenti nella nostra quotidianità sociale e lavorativa, che richiederebbero un’approfondita disamina. Invece, mai come in questo periodo esperti e sedicenti tali si rincorrono con commenti ad articoli e post sui social per dire la loro, parteggiando come stessero assistendo a una partita di calcio, in alcuni casi purtroppo anche trascendendo nell’interazione, perché comunque i social, data la loro natura, non favoriscono di certo un dibattito articolato su argomenti che meriterebbero molto più spazio per la discussione.

Quello che osservo è il crescere di questa tendenza traducibile “nell’impulso a commentare per primi il fatto”, come se non ci fosse un domani. Non importa se non ci si è documentati abbastanza sul tema, quello che importa è dar sfogo al proprio desiderio di “esserci” e dimostrare agli altri di essere comunque sul pezzo.

Va da sé che una tale modalità di intervenire su argomenti complessi, come ad esempio ChatGPT (ma i temi su cui fare esempi possono essere tanti), rende inefficace il dibattito pubblico, oltre a comportare il rischio concreto di far scadere la qualità dell’informazione. Il che è certamente devastante dal punto di vista comunicativo e, soprattutto, ha come conseguenza il non far circolare una informazione corretta (c’è da chiedersi se non sia questo alla fine il vero obiettivo…). Senza poi contare che la fatica nel produrre in modo forsennato articoli sul tema in quello specifico momento non viene giustamente ricompensata, considerato il calderone internettiano nel quale andranno a finire, rivelandosi perfino effimeri e presto datati.

La frenesia a voler primeggiare è anche alla base di certe prese di posizione: classico il commento di chi – probabilmente non avendo molti argomenti – adduce come giustificazione che bisogna fare assolutamente certe cose e in tempi brevi, altrimenti l’Italia rischia di rimanere il fanalino di coda rispetto ad altri paesi. Insomma c’è sempre la paura di restare indietro, l’importante è sempre andare avanti “whatever it takes”, come e con quali conseguenze interessa poco. Basti pensare a tutti coloro che si entusiasmano leggendo di aziende che decidono di investire fortemente sull’Intelligenza Artificiale, ma che poco si preoccupano del fatto che quelle stesse aziende, a fronte degli investimenti, hanno in programma di licenziare migliaia di persone.

In una recente riunione a Milano alla quale ho partecipato con un gruppo di professionisti con diverse competenze (il DL& Net coordinato dall’amico avvocato Andrea Lisi), abbiamo commentato questa “modalità ansiogena” di interagire, presente soprattutto sui social. Ci siamo posti la questione, chiedendoci se sia meglio argomentare di getto o ragionarci anche un giorno di più, a costo di perdere l’attimo di gloria. Siamo arrivati tutti alla medesima conclusione, ovvero che c’è un maggior beneficio per la società se, prima di tuffarsi nel mare di articoli e post creati per l’occasione, ci si ferma a pensare per poi affrontare l’argomento a mente fredda e in modo ragionato, anche documentandosi sul tema. Peraltro, in questo modo non ci si disperde nel mare magnum di articoli che escono a ridosso degli eventi.

Fermarsi a pensare: qualcosa che dovrebbe essere parte integrante e arricchente della natura umana, ma che stiamo svilendo. Vuoi i social, vuoi le innovazioni tecnologiche, vuoi le paure dettate dal restare “indietro”, il fatto è che oggi il fermarsi a pensare non è più di moda. Ti dicono che non sei al passo con i tempi, e non di rado il risultato è veder pubblicati strafalcioni.

Il paradosso è che, invece, nell’educare i più piccoli all’uso consapevole delle tecnologie digitali, uno degli slogan più usati è: pensa prima di postare! Ma non sono gli adulti che dovrebbero dare il buon esempio?

Non bisogna esserci per forza, occorre esserci con intelligenza… e non certo quella artificiale!

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