La piattaforma americana ha assunto un ruolo di primo piano nelle ultime settimane nei movimenti giovanili marocchini e nepalesi. Un destino che il suo utilizzo iniziale non lasciava presagire, scrive Le Monde.
Sembrano lontani i tempi in cui Discord era una piattaforma riservata ai giocatori. Nel 2025, l’applicazione si trova al centro di diverse mobilitazioni giovanili, in particolare in Marocco, dove una parte della “Gen Z” (i 15-30enni) manifesta quotidianamente dal 27 settembre.
Se è in strada che chiedono la fine della corruzione, migliori servizi sanitari, istruzione e le dimissioni del governo, è su un server Discord che i manifestanti si organizzano. Chiamato GenZ 212 – il numero si riferisce al prefisso telefonico del Paese –, è stato lanciato il 18 settembre e ora riunisce circa 170.000 persone, che discutono, per iscritto e in chat vocali, dei mezzi d’azione e delle rivendicazioni. È anche su questo server che vengono annunciati i luoghi e gli orari delle prossime manifestazioni e che ogni sera si vota per decidere se proseguire il movimento.
DA CHAT PER GAMER…
All’inizio, nulla faceva presagire che Discord sarebbe diventato una sorta di piazza Tahrir digitale. Installabile sulla maggior parte dei dispositivi moderni, la messaggistica è stata progettata nel 2015 per consentire ai giocatori di videogiochi di comunicare tra loro durante le partite online. Un successo: Discord conta oggi 200 milioni di utenti mensili, secondo l’azienda, con sede a San Francisco.
Nel 2025, infatti, l’uso di Discord ha ampiamente superato i confini del mondo dei videogiochi. Un server Discord può ora ospitare sia un piccolo gruppo di amici o colleghi che migliaia di fan di uno streamer, un artista, un sito… o persone che cercano di organizzare e seguire un progetto collettivo, che si tratti di corsi a distanza durante un confinamento o di orchestrare la pirateria di contenuti online.
Il relativo anonimato consentito dalla piattaforma (la maggior parte delle persone discute sotto pseudonimo), la sua gratuità, l’elevato livello di personalizzazione dei profili e dei server, nonché il suo aspetto “geek”, la rendono uno strumento privilegiato per le persone più connesse.
[…]La struttura delle conversazioni, che possono essere organizzate per canali tematici (come su Telegram, Slack o Teams), rende Discord particolarmente pratico per favorire discussioni su più argomenti contemporaneamente. «Forse c’è meno diffidenza. Su Facebook ormai c’è l’idea che ci sia censura, mentre su Discord non si ha l’impressione che ci sia un’entità superiore che decide se un determinato messaggio può essere pubblicato. Discord dà l’impressione, a torto o a ragione, di essere più protetto», continua Stéphanie Wojcik.
…A STRUMENTO POLITICIZZATO
Non sorprende quindi che attivisti di tutto il mondo lo abbiano adottato per strutturare la loro mobilitazione, dalla Gauche d’Internet durante le elezioni legislative francesi del 2024 al movimento GenZ Madagascar, che dalla fine di settembre manifesta contro il presidente Andry Rajoelina.
In Nepal, un gruppo Discord chiamato Youth Against Corruption ha svolto un ruolo centrale. È lì che, sotto l’impulso dell’organizzazione non governativa Hami Nepal, più di 160.000 persone si sono riunite all’inizio di settembre per organizzare la loro mobilitazione e poi, una volta ottenute le dimissioni del primo ministro, discutere il nome del suo successore.
Trasmesse in diretta su YouTube, le discussioni e una votazione su Discord hanno fatto emergere un nome, quello dell’ex presidente della Corte Suprema, Sushila Karki. Dopo tre giorni di aspre trattative con il capo delle forze armate, il 12 settembre è stata nominata primo ministro ad interim.
[…]I media nepalesi sottolineano inoltre che la relativa complessità di Discord ha frenato la partecipazione ai dibattiti online dei genitori dei contestatori. Sono stati inoltre riscontrati problemi legati alla circolazione di informazioni false o alla confusione tra diversi server con nomi simili.
MODERAZIONE IN DISCUSSIONE
Altri hanno anche sottolineato i limiti dello strumento, come l’affidabilità discutibile dei voti o una certa verticalità durante i dibattiti. «I moderatori decidevano chi poteva parlare, quindi non tutti hanno avuto l’opportunità di farlo», si rammarica un partecipante nepalese. I grandi gruppi Discord sono infatti gestiti per lo più da decine di volontari legati al creatore del server, che si coordinano sulle regole da seguire e mantengono il controllo sulle opzioni avanzate di moderazione e pubblicazione.
[…]In generale, Discord vieta, nei suoi principi, l’uso dei suoi servizi per “promuovere” o ‘coordinare’ l’“estremismo”, così come le azioni di odio e violenza. Nel suo ultimo rapporto sulla trasparenza, pubblicato per la prima parte del 2024, l’azienda descrive di aver disattivato decine di migliaia di server nel periodo in questione, nonché centinaia di migliaia di account che non rispettavano tali condizioni o che erano coinvolti in attività di spam e illegali.
Discord collabora regolarmente con le autorità di un paese, se necessario. Nel primo semestre del 2024, ad esempio, ha trasmesso le informazioni di migliaia di utenti al governo americano nell’ambito di indagini. Non è chiaro, tuttavia, se nelle ultime settimane siano state presentate richieste simili in Marocco, Nepal o Madagascar e se la piattaforma abbia risposto positivamente.
Ora che prevede di quotarsi in borsa, la società è particolarmente sotto esame su questo tema, soprattutto negli Stati Uniti, dove è stata più volte criticata per aver ospitato gruppi politici violenti, in particolare quelli di estrema destra. A settembre ha fatto parlare di sé anche per aver ospitato parte delle discussioni tenute da Tyler Robinson, l’assassino di Charlie Kirk, prima che questi passasse all’azione. Discord ha quindi fornito molto rapidamente all’FBI gli elementi a sua disposizione.
È in questo contesto che Humam Sakhnini, l’attuale CEO di Discord, è atteso l’8 ottobre al Congresso americano. Dovrà rispondere alle domande sui mezzi messi in atto dalla sua azienda per «evitare la radicalizzazione e la violenza» dei «radicali» negli Stati Uniti.