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Meta Farmaci

Google e Meta hanno un problema con i dipendenti infedeli?

Google e Meta sembrano avere grossi problemi con i loro dipendenti. L'occasione irripetibile dell'IA rende l'uomo ladro o tra le Big Tech Usa si sta scatenando una caccia alle streghe dovuta alla psicosi collettiva?

In un mondo come quello della Silicon Valley – o più generalmente delle Big Tech Usa -, che per lo più non produce beni materiali, ma software e dati, non è sempre facile tenere traccia di eventuali furti dall’interno. Eppure nell’ultimo periodo si sono verificati alcuni casi che dovrebbero accendere un faro sulla fedeltà dei dipendenti nei confronti delle software house in cui militavano.

L’IA FA L’UOMO LADRO?

È destinata per esempio a fare rumore la causa che Meta ha intentato nei confronti di Dipinder Singh Khurana, meglio noto nell’ambiente come TS Khurana, suo ex vice presidente per l’Infrastruttura e dipendente della Big Tech dal 2011 al 2023 con l’accusa di avere sottratto documenti e materiali riservati per poi unirsi a una startup di intelligenza artificiale attiva nell’ambito computing.

Una sottrazione un po’ troppo maldestra, specialmente per un manager che lavorava in una delle più grandi software house al mondo. Meta infatti sostiene che TS Khurana avrebbe caricato documenti sensibili nelle proprie cartelle cloud Google Drive e Dropbox. Una condotta che, come immaginabile, lascia dietro di sé tantissime tracce.

Sarà naturalmente la magistratura ad appurare se le accuse del Gruppo fondato e guidato da Mark Zuckerberg hanno fondamento. Qui interessa maggiormente sottolineare il fatto che si sarebbe costituita una vera e propria “cellula” di dipendenti infedeli. Sempre secondo la denuncia di Meta, oltre all’ex vicepresidente all’Infrastruttura sarebbero coinvolti anche altri otto dipendenti dell’ex gruppo Facebook, che – una volta sottratti i dati – avrebbero seguito l’ex vicepresidente nel nuovo posto di lavoro.

LE BIG TECH HANNO UN PROBLEMA DI DIPENDENTI?

Occorre procedere comunque coi piedi di piombo nell’esprimere facili giudizi, dato che di mezzo c’è anche una potenziale insofferenza della parte attrice, che certo non vede di buon occhio simili emorragie di dipendenti, tanto più quando confluiscono in blocco in una singola realtà, per di più in posizione di diretta competizione (non si comprende infatti come sia possibile nonostante i patti anti concorrenza che dovrebbero essere previsti in ogni contratto).

Quel che è certo, è che Meta non è la sola a lagnarsi davanti ai magistrati per la presunta infedeltà dei propri dipendenti. Pochi giorni fa Google, seguendo il medesimo copione, ha accusato un suo ex ingegnere, Linwei (Leon) Ding, di aver rubato materiale inerente gli avanzamenti nel campo dell’intelligenza artificiale nella multinazionale di Sundar Pichai. Se condannato rischierebbe fino a 10 anni di carcere. A peggiorarne la situazione c’è il fatto che l’uomo avrebbe rubato questi materiali mentre stava collaborando in segreto con due aziende cinesi.

Resta da chiedersi se la grande occasione dell’IA stia rendendo l’uomo ladro, o se al contrario quella gallina d’oro sotto forma di algoritmo non stia trasformando le software house in agglomerati di spioni e delatori animati dalla paura costante che chi si dimette per andare altrove sia, in via automatica, un potenziale traditore. Altro sprone forse per licenziare tutti e assumere soltanto le intelligenze artificiali, come diversi osservatori temono.

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