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Conad

Conad-Auchan, ecco 3 sfide e le prossime tappe. L’analisi di Sassi

L'approfondimento di Mario Sassi

L’operazione Conad/Auchan esce dagli schemi classici di una necessaria ristrutturazione aziendale a seguito di una acquisizione. Pensare di condurla affrontandola in modo tradizionale può riservare amare sorprese a chi cerca scorciatoie.

Auchan non esiste più. Con il 31 luglio ha chiuso. Sul campo 256 punti vendita e diciottomila dipendenti distribuiti in più sedi. Conad (e qui sta il primo equivoco) non ha comprato l’universo di Auchan Italia. Ritiene di aver acquisito dall’azienda francese 256 negozi distribuiti sull’intero territorio nazionale, Sicilia esclusa.

Il sogno almeno nella testa dei suoi leader è quello di costruire, nei modi e nei tempi possibili, un grande realtà italiana. Ma Conad è un consorzio di imprenditori radicati ciascuno nel proprio territorio. Non è un’azienda classica. Non basta aver un sogno e una visione per cambiare cultura e atteggiamenti in profondità. Il “potere” sta saldamente in mano alle singole cooperative. L’impresa che aderisce al consorzio, ovunque sia collocata, vive all’interno di logiche precise. Le apprensioni dell’imprenditore, i rapporti diretti con i collaboratori, meritocratici anche se a volte ruvidi. La concorrenza delle altre insegne, le abitudini di acquisto e la scelte dei consumatori, l’offerta commerciale e i suoi costi (affitto, personale, ecc.) ne determinano il successo.

Ad oggi, solo un terzo circa del personale coinvolto lavora in PDV ex Auchan in sostanziale equilibrio. Quindi stiamo parlando di una realtà che, prima di lasciare, era complessivamente al collasso. Pensare di affrontare e condurre un negoziato sindacale senza partire da queste premesse porta subito fuori strada.

Quando una multinazionale acquisisce un’azienda italiana, al contrario, l’approccio è sperimentato. Lo stesso vale se l’operazione è tra un’impresa di grande dimensione che acquisisce realtà più piccole. Il sindacato si limita, in questi casi, a chiedere una sorta di omogeneizzazione delle condizioni e la salvaguardia dell’occupazione. Un po’ di mobilità, qualche prepensionamento “spintaneo” e il gioco è fatto. L’operazione Conad/Auchan non ha nulla di paragonabile a tutto questo.

Per questo limitarsi a parlare di esodi o prepensionamenti volontari, mobilità infragruppo, mantenimento dell’unitarietà dell’azienda in BDC (il veicolo scelto per gestione l’operazione di acquisizione), dell’occupazione e delle condizioni contrattuali preesistenti maturate in una multinazionale di quelle dimensioni in trent’anni di attività nel nostro Paese dimostrano solo che c’è ancora molta strada da fare. È pericoloso cercare di rallentare l’operazione allungando i tempi. Auchan non c’è più e BDC è solo un veicolo per gestire la transizione.

Sul tavolo tre grandi questioni da comporre.

Innanzitutto le strategie commerciali e il piano industriale che rappresenta il futuro. Conad e tutti i suoi imprenditori associati si propongono come soggetti protagonisti di una sfida decisiva che cambierà gli assetti della grande distribuzione italiana. Lo fanno per sé stessi, ovviamente, ma anche per provare a riorientare l’intera filiera che dovrà accettare la stessa sfida perché ha un interesse analogo.

Con questa operazione gli imprenditori associati nelle cooperative del consorzio, pur mantenendo le loro caratteristiche fondamentali, dovranno comunque accettare di cambiare, essi stessi, in profondità. Devono si guardare l’albero, ma contemporaneamente immaginare la foresta. Non limitarsi a guardarsi allo specchio per riproporsi sempre uguali a loro stessi. Finisce una fase storica per Conad ma se ne apre un’altra che comporterà un vero e proprio cambio di pelle.

E gli innovatori vanno sostenuti, non contrastati.

Il sindacato, da parte sua, deve capire che tutto questo necessita tempi e modalità compatibili con una visione, una cultura e un modello organizzativo che si sono dimostrate vincenti se intende essere protagonista e accompagnare questo processo. E questo non si costruisce rinchiudendosi nelle proprie convinzioni passate o tirando su muri reciproci.

Presuppone una decisa assunzione di corresponsabilità che comporta visione, innovazione culturale, collaborazione ma anche la consapevolezza che ciò che la multinazionale francese ha lasciato sul campo prima della ritirata non è più replicabile né conservabile.

Da tutto questo ne dovrebbe discendere un importante accordo sindacale innovativo in grado di accompagnare il percorso, le tempistiche, le priorità, le modalità e numeri. Nulla può essere garantito a priori.

Il secondo passaggio riguarda la costruzione di un percorso che sfoci un un nuovo contratto aziendale. Conad, da parte sua, non si può più nascondere. Quello che può nascere da questo operazione (alla fine del percorso) è una realtà che va ben oltre la semplice acquisizione di punti vendita. Sarà il più grande gruppo della GDO italiana.

E se pensiamo a ciò che succederà nei prossimi anni nel resto del comparto in termini di acquisizioni e riorganizzazioni ci possiamo rendere conto dell’importanza dei tempi e di come Conad deciderà di posizionarsi all’interno di questo percorso. Farlo con i modelli contrattuali di oggi è praticamente impossibile. Occorre costruire un nuovo quadro di riferimento che sappia mettere al centro la crescita, la collaborazione e l’impegno nella realizzazione degli obiettivi. Lo stesso sindacato non può limitarsi a reazioni pavloviane. Né l’azienda trincerarsi dietro ad un modello di relazioni inadatto a contesti complessi.

Così come si è dimostrato vincente puntare alla sinergia tra imprenditori può essere altrettanto vincente puntare decisamente ad un modello contrattuale collaborativo che si fondi sull’impegno individuale, la partecipazione alla realizzazione degli obiettivi e la crescita professionale. Il problema non è, ovviamente, aumentare il costo del lavoro perché sarebbe un errore, ma di distribuirlo diversamente all’interno di un percorso virtuoso di crescita dei fatturati.

Infine il terzo passaggio che riguarda un vero e proprio progetto di politiche attive. Conad può contribuire a mettere in sicurezza migliaia di posti di lavoro compromessi dagli errori di Auchan. Ma non può risolvere da sola il problema. Lo dicono i numeri, le problematiche commerciali e gestionali dei punti vendita ex Auchan. Illudersi che basti la leva degli esodi e dei prepensionamenti volontari, della mobilità tra pdv e degli incentivi economici è un errore.

C’è, al contrario, lo spazio per andare oltre, costruendo, proprio a partire da ciò che il Ministero del lavoro può mettere in campo insieme all’Anpal, un vero progetto innovativo che a partire dai fondi UE, utilizzati dal retail in diversi Paesi europei e passando dai fondi interprofessionali possano consentire un’attività di ricollocamento e di formazione che va ben oltre la logica degli incentivi economici che possono essere messi a disposizione in casi di queste dimensioni. E questo può valere anche per i manager ex Auchan definendo un analogo protocollo con Manageritalia dove l’esperienza su questo tema è maggiore.

Prima però occorre lavorare per far crescere una consapevolezza nuova non ancora presente nel confronto tra le parti. Sogni e visioni sono raggiungibili solo se chi sta intorno al tavolo non si limita a guardarsi allo specchio per riproporsi così com’è. O, addirittura, utilizzando lo specchietto retrovisore.

Come si è arrivati fino a qui è importante. E va dato merito a chi vi ha contribuito. Ma per riuscire a guardare avanti occorre saper alzare lo sguardo oltre al muro di incomunicabilità e quindi di incomprensione che si sta involontariamente costruendo tra le parti. Prima che sia troppo tardi….

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