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Cluster Usa o distretto industriale Ue? Modelli a confronto

Pubblichiamo un estratto di "Economia Liquida - Lo sviluppo nell'instabilità" del sociologo e saggista Luigi Gentili edito da Armando Editore

Le aree più competitive, oggi, sono costituite da reti imprenditoriali localizzate. È questo un dato fondamentale dell’economia globale. La competitività non si basa più, come nel passato, su singole imprese o su singoli stati-nazione ma riguarda aree territoriali o metropolitane, interconnesse al livello globale. Gli esempi sono molti: la Silicon Valley per le produzioni altamente tecnologiche, Oxford per la biotecnologia, Wall Street per i servizi finanziari, Colonia per i media, Los Angeles per la produzione cinematografica o il Baden-Wuttemberg per la meccanica utensile, tessile e forniture nel settore automobilistico.

Si tratta di aree che hanno una precisa vocazione produttiva, sono aperte agli scambi internazionali, hanno istituzioni efficienti e sistemi di regolamentazione ottimali. La necessità di lavorare in rete, all’interno di sistemi economici territoriali, è stata sottolineata da diversi studiosi. Paul Krugman, ad esempio, si concentra sull’importanza dell’economia di agglomerazione per la competitività delle imprese mentre Michael Porter, da un punto di vista diverso, analizza il successo dei cluster ad elevata specializzazione. Krugman sottolinea come la presenza di molte imprese in un territorio circoscritto consente di utilizzare sia un vasto serbatoio di forza lavoro specializzata che una rete di fornitori ad hoc. I fattori presi in esame sono tre: i rendimenti crescenti, i costi di trasporto e i movimenti migratori.

Gli effetti positivi creati da una concentrazione territoriale tendono ad autoalimentarsi: maggiore è il numero di imprese insediate in una determinata area, più vantaggiosa risulta per loro localizzarsi in quella stessa area. Tutto ciò facilita la specializzazione produttiva e delle competenze al livello territoriale. Per Krugman, al fine di rendere un sistema economico competitivo nel lungo periodo, si rende necessario però l’intervento di un’agenzia pubblica locale, capace di incentivare l’introduzione e il rafforzamento di una determinata specializzazione produttiva. L’interesse per i cluster di Porter rappresenta un altro modo per studiare la dimensione dei network locali con gli strumenti dell’analisi economica.

Il termine cluster indica una “massa critica” di successo, al livello di rete inter-organizzativa, localizzata. Il “luogo” di insediamento, di volta in volta, può riferirsi a una regione, a un’area metropolitana o un ambito di territorio più circoscritto. Per Porter il cluster rappresenta una concentrazione geografica di imprese ed istituzioni interconnesse e operanti in un determinato settore. Ogni cluster, al proprio interno, include la presenza di fornitori specializzati in componenti, macchinari e servizi, produttori di beni accessori, canali distributivi specifici, istituzioni governative e altre organizzazioni quali università, centri di formazione, associazioni di categoria e centri di ricerca e di servizi. Questi sono in grado di offrire prestazioni competitive nei settori della formazione, dell’informazione e dei supporti tecnici specializzati.

Gli esempi spaziano dal cluster del vino della California alla filiera italiana cuoio-pelli-calzature, fino alle aree a carattere distrettuale presenti in Portogallo. Qual è la forza economica di un cluster? Per Porter essa deriva dalla copresenza di due condizioni: la competizione e la cooperazione. All’interno di un cluster, infatti, coesistono sia imprese che sono in concorrenza fra loro – nello stesso mercato di sbocco –, sia imprese complementari, facenti parte di settori correlati – a monte e a valle del sistema produttivo –.

La fiducia reciproca e il coordinamento interorganizzativo sono stimolati sia dalla prossimità geografica che dalle frequenti negoziazioni tra i soggetti economici. Ciò crea le condizioni per un livello superiore di produttività. Secondo Porter ogni Paese può migliorare il proprio posizionamento competitivo attraverso tre differenti fasi di sviluppo. Il punto di partenza è la crescita delle imprese esistenti, attraverso lo sfruttamento della manodopera locale a basso costo e il facile accesso alle risorse naturali. Segue poi la produzione di beni e servizi standardizzati, dovuto all’esistenza di risorse locali che assicurano un vantaggio competitivo, investimenti in infrastrutture, migliori rapporti con le amministrazioni e accesso al credito.

Si giunge infine ad uno sviluppo endogeno del tessuto produttivo, grazie alla produzione di beni e servizi innovativi. Questo dipende dall’utilizzo sia di alcuni metodi di lavorazione che da tecnologie avanzate. Il cluster consente per Porter di accrescere l’ammodernamento e la flessibilità organizzativa al livello diffuso, condizioni, queste, indispensabili per innescare un processo di sviluppo economico. Nei cluster un ruolo centrale è svolto dalle istituzioni e dalle associazioni di categoria. Queste organizzazioni devono promuovere le specificità a base territoriale, sostenendo i vantaggi competitivi del cluster.

Le associazioni di categoria, in particolare, possono creare dei momenti di incontro e di discussione per lo scambio di idee o supportare l’azione dei soggetti economici esistenti. Lo scopo è quello di superare gli ostacoli alla crescita. Possono altresì stipulare accordi con università o centri di ricerca per offrire le infrastrutture conoscitive necessarie al funzionamento delle attività imprenditoriali, o raccogliere e diffondere le informazioni sul cluster. Per i cluster formati prevalentemente da piccole e medie imprese, le istituzioni e le associazioni locali possono svolgere direttamente anche funzioni di formazione, ricerca e marketing.

Il modello americano del cluster, proposto da Porter, si contrappone a quello europeo del distretto industriale. Nel cluster studiato da Porter è centrale l’articolazione spaziale della filiera, ovvero il modello fisico di agglomerazione. Ciò avviene a discapito degli elementi culturali e simbolici di un territorio, centrali invece nei distretti industriali europei.

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