Skip to content

claude sentenza

Claude, l’AI di Anthropic alla sbarra. La prima sentenza made in Usa

La giustizia americana inizia a fare ordine su ciò che le software house possono o non possono fare: perché sarà importante almeno simbolicamente questa prima sentenza che ha riguardato Claude di Anthropic

Le Intelligenze artificiali che le più grandi software house del pianeta, prevalentemente americane e cinese, hanno sguinzagliato sul Web stanno divorando una immensa quantità di dati. Simili a locuste, si spostano di piattaforma in piattaforma nutrendosi di copyright e trademark, sminuzzando e ingurgitando libri, articoli di giornale, riviste scientifiche, video, immagini, diagrammi… insomma, tutto lo scibile umano che veniva custodito sul Web. Possono farlo? E’ la domanda cui i giudici dei vari Paesi saranno chiamati a dare una risposta in attesa che i legislatori pongano paletti d’altro tipo. Una prima sentenza intanto è arrivata dagli Usa e riguarda Claude, l’AI della startup Anthropic, società che oggi vale 61,5 miliardi di dollari anche grazie agli investimenti di Amazon e Google.

LA SENTENZA CHE RIGUARDA CLAUDE

La questione alla base della causa era particolarmente delicata e scindibile su due fronti che infatti il giudice statunitense ha scelto di trattare separatamente. La prima condotta è la pratica di Anthropic di acquistare legalmente copie fisiche di libri per poi digitalizzarle così da sfamare l’AI. Tale modus fa sorgere la domanda se sia legale. In altri termini, acquistando un libro una software house può farne ciò che vuole, anche sminuzzarlo per istruire i propri agloritmi?

La risposta è stata positiva. E non era scontata visto che i diritti di copyright sembravano predisporre ben altri paletti. Tuttavia, per il giudice il processo è il medesimo di un genitore che acquista un libro per il figlio o di un professore che sfrutti un testo per insegnare ai propri alunni a scrivere come quell’autore. In tale ottica, ha spiegato il giurista, occorrerebbe rammentare che lo scopo della legge sul copyright è promuovere la creazione di nuove opere originali, non tutelare gli autori dalla concorrenza.

LE AI LA FARANNO FRANCA?

Si tratta di una interpretazione che erode l’ambito di intervento delle norme a favore degli autori, perciò non mancherà di far discutere e di suscitare nuove cause (non arrivando dalla Corte Suprema, non rappresenta un precedente vincolante, è solo importante perché è il primo tassello giurisprudenziale riguardante condotte tutte da normare), ma d’altro canto ha il merito di ordinare e disciplinare il modus operandi delle software house: laddove paghino per il “cibo” dato in pasto alle AI, non ci saranno problemi di sorta.

L’ALTRO ASPETTO DELLA VICENDA

Come s’è detto, però, erano due le condotte sotto sentenza. La seconda è stata stralciata e affronterà un processo separato e riguarda l’ aver utilizzato milioni di libri scaricati illegalmente da siti pirata sempre da dare in pasto alle AI. Per la convenuta un atto “ragionevolmente necessario”, ma per il giudice dovrà essere dimostrato, dal momento che, come peraltro dimostrato dalla stessa Anthropic, tali opere avrebbero potuto essere acquistate o ottenute legalmente. Se la sentenza dovesse essere sfavorevole, per le Intelligenze artificiali e soprattutto le rispettive software house si aprirebbe un periodo di rimborsi aggravati dal fatto che sarà impossibile riavvolgere indietro le lancette dell’orologio e restituire ciò che gli algoritmi hanno assimilato.

OLTRE IL DANNO, LA BEFFA

Si ricorda inoltre in chiusura che proprio il numero 1 di Anthropic, Dario Amodei, ha detto che l’IA potrebbe spazzare via fino al 50% dei lavori impiegatizi di primo livello nei prossimi cinque anni, portando potenzialmente la disoccupazione solo negli Stati Uniti al 10-20%. Il rischio, dunque, è che i danni fatti dagli algoritmi in campo copyright sia solo l’inizio.

Torna su